Oggi la storia 25.09.14
RSI New Articles 25.09.2014, 09:05
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A vent’anni dalla morte (era il 17 settembre 1994) il filosofo Karl Popper mi offre la possibilità di proporre qualche considerazione sull’intreccio, spesso misconosciuto, tra l’etica e la scienza. Un intreccio spesso negato dalla distinzione tra l’orizzonte dei valori, che concerne le questioni etiche, e l’orizzonte conoscitivo che, in nome della sua oggettività, è considerato neutro dal punto di vista valoriale.
Detto in termini più generali, nella nostra cultura sembra permanere una tendenza, di stampo positivista, a tenere ben separati il pensiero, con il suo inevitabile sfondo metafisico, dalla ricerca scientifica, con il suo irrinunciabile aspetto sperimentale; il che significa anche una tendenza a tener separati i fatti dalle idee, il carattere oggettivo delle conoscenze dalla presenza dei soggetti nella loro relazione conoscitiva con il mondo.
Questa distinzione appare, per molti versi, impropria, se non addirittura controproducente, fonte di ricadute non trascurabili proprio sul piano etico.
Rappresentare il sapere scientifico come un insieme di dati verificabili o dimostrabili, mortificando in qualche modo la ragionevolezza discorsiva e la forza delle idee, rischia infatti di ostacolare la consapevolezza della nostra presenza responsabile dentro la vita.
In realtà, come indica tutta la tradizione della modernità, da Cartesio a Kant e oltre, l’etica è intrinseca alla conoscenza e alla riflessione sui suoi fondamenti, sui suoi metodi e soprattutto sui suoi limiti.
E qui si inserisce con forza la lezione di Popper, figura centrale nel dibattito del Novecento, in quella straordinaria stagione della riflessione epistemologica che annovera tra i suoi protagonisti personaggi come Thomas Kuhn, Imre Lakatos e Paul Feyerabend.
La riflessione epistemologica di Popper, pur nel suo rigore scientifico, parla il linguaggio dell’etica. Parla il linguaggio dell’etica, Popper, quando colloca a fondamento di una conoscenza scientifica la possibilità di essere falsificata, indicando, proprio in questo, anche il valore del dialogo, della confutazione e dell’apertura alle ragioni dell’altro. E lo fa quando riflette sui limiti della conoscenza e, contro ogni pretesa certezza, valorizza il nostro irrinunciabile, intimo rapporto con la verità, perché, dice, lo scienziato è come uno scalatore nella nebbia: sa che la vetta c’è ma non può vederla e mai saprà se l’avrà raggiunta. E ancora, parla il linguaggio dell’etica quando, tra le fonti della conoscenza, indica la presenza dell’uomo che, come un pescatore, getta le sue reti nel mare della realtà, nella speranza di cogliervi qualcosa.
Lina Bertola