Oggi, la storia

La scena dei Lupercali del 44 a.C.

di Alessandro Stroppa

  • 19.02.2016, 08:05
Lupercale, roma, soldato
  • Reuters Pictures

Oggi, la storia
Venerdì 19 febbraio 2016 - 07:05


Nel mondo romano il 15 febbraio si celebrava la festa dei Lupercali: era una festa di purificazione (inizialmente del gregge, in seguito della città palatina) in onore di Luperco, antico dio latino connesso al lupo sacro a Marte. Al dio era associata la figura di Luperca, identificata dal mito con la moglie del pastore Faustolo e poi con Acca Lerenzia.

La festa si svolgeva presso il Lupercale, la grotta sacra ai piedi del Palatino, dove, all’ombra di un fico (il ficus ruminalis), Faustolo avrebbe trovato i gemelli Romolo e Remo allattati da una lupa. Questa complessa festività celebrata nella parte finale di ogni inverno, nell’edizione del 44 a.C. – l’anno in cui Giulio Cesare si era proclamato dictator perpetuus –, fu teatro di un evento che passò alla storia: alla processione guidata dal console Marco Antonio, Cesare assisteva dai rostri assiso su un trono d’oro, avvolto da un manto di porpora, e per ben quattro volte gli venne offerta una corona di alloro dentro la quale appariva visibilmente un diadema.

Un simbolo, il diadema, verso il quale i Romani guardavano con grande sospetto a causa dei suoi inequivocabili riferimenti alla regalità, tanto più in un momento in cui era coram populo la liaison di Cesare con Cleopatra, la regina egizia dalla quale, peraltro, aveva avuto un figlio (Cesarione). Cesare rifiutò la corona sia le prime due volte (quando gli venne posta prima ai piedi e poi sulle ginocchia), sia la terza volta, gettandola stizzito tra la folla, dopo che Antonio gliela pose sul capo. Ma ci fu un quarto tentativo da parte del console collega, al che Cesare rifiutò di nuovo, nonostante la folla lo salutasse col titolo di “re”.

Non è chiara la ragione per cui Antonio abbia organizzato questa messinscena: forse perché voleva ingraziarsi Cesare ed essere adottato da lui, o forse perché voleva far cadere Cesare in odio ai Romani. O forse, ancora, fu un’autentica gaffe. Quel che è certo è che tale gesto provocò un’accelerazione dei piani dei congiurati che da lì a un mese avrebbero assassinato Cesare, alle idi di marzo. Fu Cicerone, del resto, a insinuare che la commedia dei Lupercali fu il vero motore dell’uccisione di Cesare. Ma anche Cesare doveva averne contezza, se è vero l’aneddoto riportato dallo storico Plutarco: il dittatore, irritato per la messinscena di Antonio, così come anche per il suo esito, si levò in piedi, si scoprì il collo e disse che «lo offriva a chi voleva sgozzarlo».

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