Oggi, la storia
Mercoledì 25 maggio 2016 - 07:05
Il tatuaggio è di gran moda: oltre sette milioni di italiani, il 13% della popolazione, ne ha almeno uno. La maggior parte dei tatuati ha tra 25 e 45 anni, con un buon livello economico e di istruzione. Mancano dati precisi per la Svizzera, ma la situazione non dev’essere molto diversa.
Lungo tutta la sua storia l’Occidente ha sempre diffidato di questa forma di manipolazione del corpo. Nell’antica Roma il tatuaggio marchiava gli schiavi o i criminali; e nel Medioevo fu espressamente proibito da una bolla di papa Adriano, nel 787. Per secoli l’uso del tatuaggio fu ristretto a soldati, gladiatori, carcerati, marinai, prostitute e altre categorie di marginali, disprezzati dalle persone per bene.
Poi James Cook, nella seconda metà del Settecento, inaugurò la stagione dei grandi viaggi nel Pacifico. Al suo ritorno raccontò di come nei mari del sud uomini e donne si colorassero i corpi in modo indelebile e rese di uso comune la parola “tattow”, che riproduce il rumore del legno picchiettato sull’ago per bucare la pelle. In Nuova Zelanda fecero molta impressione i vistosi tatuaggi scuri sul volto dei Maori, mentre in Giappone il tatuaggio era praticato in forme più nascoste ed eleganti. Ancora oggi è un segno di riconoscimento degli appartenenti alla mafia giapponese, la famigerata Yakuza.
Tra Ottocento e Novecento, cominciò un curioso percorso incrociato: mentre i missionari cercavano di estirpare la pratica del tatuaggio nelle colonie, spesso con successo, questa si diffondeva sempre più in Occidente, dapprima in forme nascoste e sotterranee poi, negli ultimi decenni, alla luce del sole.
Il tatuaggio contemporaneo si è ormai esteso a ogni fascia d’età o classe sociale, perdendo per via il suo originario carattere trasgressivo: anzi da segno di distinzione e di ribellione è diventato una manifestazione di conformismo, un omaggio allo spirito del tempo. Le più varie figure simboliche, prese dalle diverse epoche e culture, si sovrappongono confusamente sui corpi in forme stravaganti, perdendo molto della loro forza comunicativa.
È un altro aspetto di quell’eccesso di segni che caratterizza la nuova civiltà globale.