Oggi, la storia

Ricchi, felici o fortunati?

di Alessandro Stroppa

  • 29.04.2016, 09:05
Ricchezza e felicità

Chi è ricco è conseguentemente felice? Non necessariamente, secondo Solone!

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Oggi, la storia
Venerdì 29 aprile 2016 - 07:05

In un passaggio delle Storie di Erodoto (I 32) leggiamo la risposta che Creso, ricco e potente re della Lidia, ricevette da Solone – celebre legislatore ateniese –, in merito al rapporto che esiste tra la ricchezza (πλοῦτος, plútos), la felicità (ὄλβος, ólbos) e la fortuna (εὐτυχία, eutuchía):

«Chi è molto ricco non è affatto più felice di chi vive alla giornata, se il suo destino non lo accompagna a morire serenamente nella sua prosperità. Molti uomini, infatti, pur essendo ricchi sfondati, non sono felici, mentre molti, che vivono una vita modesta, possono dirsi davvero fortunati. Chi è molto ricco ma infelice è superiore soltanto in due cose a chi è fortunato, ma quest’ultimo, rispetto a chi è ricco, è superiore da molti punti di vista. Il ricco può realizzare un proprio desiderio e sopportare una grave sciagura più facilmente, ma il fortunato gli è superiore perché, anche se non è in grado come lui di sopportare sciagure e soddisfare desideri, da questi ultimi, però, la sua buona sorte lo tiene lontano; e non ha imperfezioni fisiche, non ha malattie e non subisce disgrazie, ha bei figli e un aspetto sempre sereno. E se oltre a tutto questo avrà anche una buona morte, allora è proprio lui quello che tu cerchi, quello degno di essere chiamato “felice”. Ma prima che sia morto bisogna evitare di dirlo felice, se mai soltanto “fortunato”. Certo, che un uomo riunisca tutte le suddette fortune, non è possibile, così come nessuna terra provvede da sola a produrre ogni frutto: se qualcosa produce, di altro è carente, cosicché migliore è la terra che ha più frutti. Allo stesso modo non c’è essere umano che sia autosufficiente: possiede qualcosa ma altro gli manca. Chi, dunque, passi la vita con il maggior numero di beni e poi concluda la sua vita serenamente, ecco, per me costui ha diritto di portare quel nome. Di ogni cosa bisogna indagare la fine. A molti il dio ha fatto intravedere la felicità e poi ne ha capovolto i destini, radicalmente».

Nata da una concezione secondo cui πᾶν ἐστι ἄνθρωπος συμφορή (pán-esti ánthropos sumphorè, «l’uomo è pura casualità») – sembra concepita in seno al laicismo più spinto, eppure siamo nel VI sec. a.C. –, il dilemma di Solone si presenta come un ottimo spunto di riflessione per l’uomo contemporaneo: vale veramente la pena produrre tanta ricchezza, quando essa è solo uno dei tanti beni che può renderci fortunati? E poi: abbiamo in chiaro, come Solone, la profonda differenza che intercorre tra fortuna e felicità?

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