Oggi, la storia

Tragedia con sacchi e buchi

di Emilio Gentile

  • 12.03.2015, 08:05
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Alberto Burri, Composition (Composizione), 1953, Solomon R. Guggenheim Museum, New York

  • Courtesy Solomon R. Guggenheim Museum, New York
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Oggi, la storia 12.03.15

Oggi, la storia 12.03.2015, 07:05

Avrebbe compiuto oggi cento anni l’artista italiano Alberto Burri, nato il 12 marzo 1915 a Città di Castello in Umbria. Fu soprannominato il “pittore dei sacchi” perché nelle sue prime opere, realizzate negli anni Cinquanta, utilizzò come materia pittorica sacchi di juta usati, con strappi e buchi. Nelle fasi successive della sua arte, Burri si avvalse di altra materia per dipingere: legno, plastica, ferro, siti naturali. Nella sua pittura, la materia usurata, bucata, lacerata, bruciata, non era un elemento aggiunto al colore, come nei collages dei cubisti e dei futuristi, ma era l’essenza stessa della sua espressione estetica, in simbiosi con violenti chiazze di nero e di rosso, che squarciano la trama grezza dei sacchi o la lucida superficie di plastica increspata e ustionata.

Burri non divenne artista per vocazione precoce. Figlio di un commerciante di vini e di una maestra elementare, dopo il liceo classico, nel 1934 si iscrisse a medicina, ma l’anno successivo si arruolò nella Milizia volontaria fascista, partecipò alla guerra di Etiopia e rimase in armi fino al 1937, quando riprese gli studi di medicina, per laurearsi nel 1940. Come sottotenente medico fu mobilitato nella Seconda guerra mondiale. Prigioniero degli inglesi in Tunisia nel maggio del 1943, fu spedito dagli americani in un campo di prigionia in Texas, schedato fra i fascisti irriducibili perché non volle firmare una dichiarazione di collaborazione. Durante la prigionia, Burri iniziò a dipingere, forse per passare il tempo. Così, a trent’anni compiuti scoprì la sua vocazione: rientrato in Italia nel 1946, lasciò la professione medica e si dedicò interamente all’arte. Dagli esordi alla fama internazionale, la sua ascesa, come uno dei più originali creatori della nuova arte informale italiana, fu piuttosto rapida. Accusato di stravaganza scandalosa, il “pittore dei sacchi” rifiutava di tradurre in parole la sua arte informale. “Le parole non mi aiutano quando cerco di parlare della mia pittura” disse Burri nel 1955 in occasione di un’esposizione a New York: “La mia pittura è una realtà che è parte di me stesso, una realtà che io non posso rivelare a parole.”

Come osservò lo storico dell’arte Werner Haftmann, Burri fa “parlare la materia” per esprimere “la piaga del mondo e la minaccia del nulla affioranti dalla tragica forza evocativa di rifiuti putrefatti”, che all’osservatore sensibile comunicano le “crudeli esperienze della nostra vita”, con la coscienza tragica degli orrori prodotti dalla Seconda guerra mondiale. L’artista italiano morì a Nizza il 13 febbraio 1995.

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