Marc Ribot chitarra e voce
Shahzad Ismaily basso, chitarra, percussioni
Ches Smith batteria, elettronica
Free jazz, punk, funk sperimentale, psichedelia, post-elettronica. In poche parole, Ceramic Dog.
Il potente ed esplosivo trio formato a metà dello scorso decennio da Marc Ribot insieme al multistrumentista e produttore di origini pakistane Shahzad Ismaily e al batterista Ches Smith - due dei maggiori rappresentativi della nuova scena underground statunitense - è negli ultimi anni una delle
formazioni predilette del chitarrista.
L’appellativo riprende l’espressione francese “chien de faïence” (cane di ceramica), che sta a rappresentare quel momento di sospensione del movimento, dettato dallo stupore o da una forte emozione, che precede l’esplodere di una reazione. Oppure fa pensare anche a quei soprammobili kitsch presenti ogni tanto in certe case d’epoca. Qualunque sia il significato che vogliate dargli - dice Marc Ribot - “Ceramic Dog non è un progetto, ma una vera band!”.
Nato a Newark nel 1954, Ribot si avvicina alla musica grazie al chitarrista e compositore d’origine haitiana Frantz Casseus. Nel ‘78 si trasferisce a New York, dove inizia a lavorare come sideman del leggendario Wilson Pickett e di altri musicisti. Nel 1984 subentra ad Arto Lindsay nei Lounge Lizards di Evan & John Lurie, con cui rimarrà per cinque anni e diverse inesauribili tournée. Suona con Elvis Costello e soprattutto con Tom Waits, diventandone l’alter ego alla chitarra per album indimenticabili che lo renderanno celebre: Rain Dogs, Franks Wild Years, The Mule Variations.
Dal 1989 entra in contatto con Elliott Sharp, i Jazz Passengers e l’avanguardia newyorkese, nel ’92 forma i Rootless Cosmopolitans, poi gli Shrek. Incide anche con il gotha della musica d’autore: Marianne Faithfull, Laurie Anderson, Caetano Veloso, Marisa Monte, Allen Ginsberg, accompagnandolo nei suoi ultimi readings, e con John Zorn che lo elegge suo chitarrista preferito.
Spesso si propone in solitaria con la sua chitarra. In questo formato ha prodotto gli album Dont’blame me e il fulgido Saints, lavori di pura poesia tra virtuosismi low budget e “non luoghi” musicali quali scarti sonori, distorsioni, rumori.
Con alcuni amici-colleghi dei Jazz Passengers ha dato vita ai Los Cubanos Postizos – band esibitasi anche al Foce nel 2015 - per una rilettura autoironica e bislacca del repertorio dei classici cubani.
Una collaborazione RSI Rete Due - Divisione Eventi e Congressi, Città di Lugano
Nell’ambito della rassegna Raclette
Diretta radiofonica