Jimmy Lai, il magnate dei media pro-democrazia di Hong Kong, ha subito, sabato scorso, una nuova condanna a 5 anni e 9 mesi di reclusione, dopo essere stato riconosciuto colpevole di frode, in una controversia contrattuale. I guai non sono tuttavia ancora finiti per il 75enne fondatore del quotidiano Apple Daily, ora chiuso, e già condannato ad una pena detentiva di 20 mesi a seguito di molteplici condanne per la sua partecipazione a proteste e assemblee non autorizzate. Lai rischia anche una possibile condanna all'ergastolo nel suo prossimo processo per accuse legate alla sicurezza nazionale.
Un segnale di come la stretta del regime di Xi Jin Ping sull’isola si stia rafforzando, in concomitanza con il 25° anniversario del passaggio della sovranità dalla Corona britannica al Governo della Repubblica popolare di Cina. Le proteste degli anni 2019-2020 sembrano ormai un lontano ricordo, così come le diverse forme di espressione e libertà che avevano accompagnato la vita degli hongkonghesi, lungo il XX secolo. Grazie alla legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong (2020) incarcerazioni, condanne, chiusure di giornali e organi d’informazione indipendenti sono diventati moneta corrente, tanto che le opposizioni al regime di Pechino sono state ridotte al silenzio. Una situazione ormai irreversibile?
Per discuterne intervengono:
Simona Grano, professoressa associata presso l’Istituto di Studi sull’Asia Orientale dell’Università di Zurigo;
Ilaria Maria Sala, giornalista che vive a Hong Kong;
Guido Santevecchi, corrispondente a Pechino del Corriere della Sera.
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