In Consiglio nazionale si discute una mozione (a firma di Erich Ettlin, consigliere agli stati del partito dell'Alleanza del Centro) che chiede un ridimensionamento della portata dei salari minimi cantonali. Chiede che nei settori economici dove sono in vigore contratti collettivi validi su scala nazionale (contratti cosiddetti “estesi”), i salari minimi iscritti in questi contratti siano quelli che contano, poco importa se sono eventualmente inferiori al salario minimo fissato in un cantone.

Nel mirino c’è in particolare il Canton Ginevra, dove il salario minimo è di 23 franchi e nel quale nessun CCL può fare eccezione. La richiesta è che invece una deroga s’imponga per quei CCL con salari minimi inferiori, riconosciuti dalla confederazione come obbligatori su scala nazionale: ristorazione, parrucchieri e via dicendo. La questione è delicata. Per molte associazioni padronali, i salari minimi cantonali incidono pericolosamente sulla libertà economica e indeboliscono il partenariato sociale. Per altri, e tra questi il Consiglio federale e il Tribunale federale, un simile cambiamento costituirebbe un affronto al federalismo e alla democrazia. Rischierebbe inoltre di riportare nelle mani dell’assistenza un certo numero di lavoratori.

Allora, giusto o sbagliato? Ne discutiamo con

Stefania Prezioso Batou, consigiera nazionale Ensemble à Gauche (Ginevra)

Fabio Regazzi, consigliere nazionale dell'Alleanza del Centro, membro commissione economia e tributi, presidente USAM

Nelle interviste registrate, le opinioni di Didier Berberat, presidente della commissione tripartita neocastellana, Fabienne Fischer, consigliera di stato a Ginevra, responsabile del dipartimento dell’economia e dell’impiego, e Pascal Mahon, professore emerito di diritto all’Univeristà di Neuchâtel.