“Too big to fail” è un'espressione entrata nell'uso comune nel linguaggio politico durante la crisi economica mondiale scoppiata nel 2008 a proposito di banche, istituti creditizi o aziende considerate troppo grandi all'interno delle rispettive economie perché possano essere private dell' intervento pubblico in caso di rischio di bancarotta. E’ stato il caso di UBS, salvata dal tracollo e dal fallimento grazie all’intervento della mano pubblica. Alla fine BNS e Confederazione hanno recuperato il denaro speso realizzando anche un utile. Tutto finito dunque? Il sistema finanziario, dopato all’epoca dal miraggio dei facili guadagni e dei bonus milionari, ha davvero imparato la lezione?. Perché si è andati avanti accumulando dei rischi inutili quando c’erano già dei segnali di allarme evidenti? Di chi è stata la colpa?
Oggi la regolamentazione è diventata comunque più severa e le grandi banche devono disporre di sufficiente capitale per poter assorbire eventuali perdite. Devono anche essere organizzate in modo da poter essere divise in caso di crisi, per consentire alle parti di rilevanza sistemica di sopravvivere. UBS assicura di aver agito in tal senso e di non rischiare più il ripetersi di un evento del genere. Chiede però anche di non applicare ulteriori misure e norme che la penalizzerebbero nel contesto della concorrenza mondiale. Come interpretare queste affermazioni? Se ne discute a modem con l’ex consigliere nazionale PLR Fulvio Pelli, l’avvocato Henry Peter, docente di diritto societario all’università di Ginevra e il presidente dell’associazione bancaria ticinese Alberto Petruzzella. Interviste con il CEO di UBS Sergio Ermotti e con l’ex consigliere federale Pascal Couchepin.
Modem su Rete Uno alle 8.20, in replica su Rete Due alle 19.25. Ci trovate anche sul Podcast e sulle app: RSINews e RSIPlay
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