Ci sono territori del mondo dove le impronte ultramillenarie del passato sono più profonde. E in molte di esse suona stridente il contrasto fra un’antichità magari leggendaria e un presente fatto di declino, di sofferenze, di guerre. Il Caucaso è sicuramente uno di questi luoghi che, nella vecchia antropologia, diede il nome ai caucasici, ossia le popolazioni di pelle chiara. Subito a sud della catena montuosa si stende la Georgia che, affacciata sul Mar Nero, include l’unica pianura della regione: Kolkheti è chiamata, nome che a tutti naturalmente evoca la mitica Colchide dove Giasone e i suoi Argonauti si spinsero alla ricerca del “vello d’oro”. Fra leggenda e storia, dunque, la Georgia vanta anche un singolare primato musicale: l’aver dato origine, già in età precristiana, alle più antiche forme di canto polifonico, da cui derivò, verosimilmente, anche la polifonia europea.
Ebbene, in Georgia, l’impronta di questa antichissima tradizione di canto a più voci con il suo patrimonio di regole tramandate oralmente, è ancora vivissima, praticata a tutti i livelli – in Georgia si dice, tutti cantano in coro – e custodita gelosamente da innumerevoli gruppi vocali alcuni dei quali molto popolari. E nel 2008 l’Unesco ha inserito la pollifonia tradizionale georgiana fra i beni del Patrimonio immateriale dell’umanità. Una ventina d’anni prima, a Parigi, un americano innamorato di questa musica si dette da fare per creare un ensemble che si dedicasse a questa affascinante pratica musicale. Nacque così l’Ensemble Marani, un gruppo cosmopolita, georgiani emigrati ma non solo, che via via ha conquistato un’autorevolezza crescente. Sharatin, da poco uscito per Buda Musique è il loro terzo album.
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