Lo sguardo severo del sommo poeta si posa sul piazzale di Santa Croce: lo spazio che i fiorentini consacrano al calcio davanti a una delle chiese più belle della città pare quasi infastidirlo perché preso d’assalto dai cacciatori famelici di gadget. Forse Dante sta pensando in quale girone infernale trovare loro un posticino o forse al tempo stesso sta meditando chi fra Pogacar, Vingegaard, Roglic, Evenepoel (o un nome che ora si cela nell’ombra), meriterà il Paradiso ciclistico.
Gli occhi dei giovani della regione che il Tour de France ha invitato alla passerella fra il cuore di Firenze e Piazzale Michelangelo sono invece nervosi, impazienti e curiosi di conoscere la squadra e il campione che toccherà loro accompagnare. Mi avvicino a uno di loro e gli dico “Fra qualche anno toccherà a te?”, non mi risponde che sono matto ma che il sogno è proprio quello ed è giusto, bellissimo che sia così. La gorgia toscana, quell’inconfondibile accento toscano, si rifà più marcato sul palco quando sale Alberto Bettiol, ticinese d’adozione, campione italiano poche ore fa proprio su queste strade e i ragazzi guardano a lui in attesa dei campionissimi sloveni, danese e belga che sfilano e si sfidano a far salire “l’applausometro” di qualche decibel in più dei colleghi.
Ci sono poi gli sguardi di chi a Firenze è arrivato a prescindere da questo Grand Départ, il primo della storia in Italia: sono quelli dei turisti che, come topolini ipnotizzati, seguono una guida che in un microfono fornisce succinte informazioni su quel palazzo, quella fontana e quella cupola che a tutta velocità i gruppi osservano, fotografano e, probabilmente, dimenticano. Neppure sanno che il Tour ha scelto le rive di un Arno carico di pioggia e dipinto di verde e marrone per dare il via all’edizione più attesa e qualitativamente alta degli ultimi decenni.
Sì, perché Firenze non aveva bisogno del Tour per farsi bella e conoscere nel mondo ma il Tour aveva bisogno di Firenze per sbarcare nell’italica penisola prima di prendere la strada della Romagna, di Bologna, Torino, prima di rientrare nell’Esagono.
Piazzale Michelangelo dall’alto del suo magnifico balcone avrebbe tutto per rendere unica questa serata ma è tanto bello quanto vuoto. La mente corre a Bilbao, alla folla del Guggenheim e prima ancora a Copenaghen invasa dal giallo, ribollire di passione per la Grande Boucle, a quelle strade che non conoscevano un solo centimetro libero. Qui invece…beh, l’abilità del regista stringe l’inquadratura alle prime file vicino al palco per nascondere quegli spazi vuoti che un giorno come questo non meritava.
Occasione persa? Forse. Intanto atleti tirati a lucido per il grande evento, carichi di sogni ai più “mostruosamente proibiti” per qualche ora ancora potranno riempirsi gli occhi con quella Firenze che qualcuno aveva visto in cartolina o che altri magari già conoscevano, come Stefan Küng che dieci anni fa girava le strade lastricate come un qualsiasi turista, e che oggi mettendo piede a Palazzo Vecchio sorride e si lascia andare a un genuino e solare “Che meraviglia!”. È il Tour, mon ami. È la Corsa più bella al mondo, è la Corsa che poteva regalare un nuovo Rinascimento ai tifosi italiani a due ruote.
Rete Uno Sport
Rete Uno Sport 28.06.2024, 12:45
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