Arte

Graffi di luce, lampi di verità

Storie d’inchiostro: Dürrenmatt, Sciascia e Vela nelle incisioni di Hannes Binder

  • 24 ottobre, 17:38
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Fritz & Nanà. I due visionari Friedrich Dürrenmatt e Leonardo Sciascia

  • Illustrazioni di Antonello Silverini e Hannes Binder
Di: Lucrezia Greppi 

«Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio / perché con questa spada vi uccido quando voglio» cantava Guccini in Cirano, prima di dar voce a Don Chisciotte, il «cavalier senza paura» che gridava al mondo, insieme al fido Sancio: «colpirò con la mia lancia l’ingiustizia giorno e notte». «Il male ed il potere hanno un aspetto [così] tetro», ma, lo sanno bene Friedrich Dürrenmatt e Leonardo Sciascia, questa non è una ragione per tirarsi indietro: i due «giustizieri ribelli» con le loro «penne spade» denunciarono infatti «meschinità e soprusi». Lo si legge in Fritz & Nanà (Carthusia Edizioni 2023), l’albo illustrato da Hannes Binder e da Antonello Silverini. Il primo ha inciso lo scrittore siciliano, mentre il secondo ha pennellato l’autore svizzero. Con due sole eccezioni: le tavole in cui, entrambi, illustrano i due intellettuali. A colpire è in particolare quella dello zurighese Binder, che li rappresenta come una coppia di «eroici cavalieri» che cavalcano indomiti verso il nemico, impugnando le loro penne affilate. Un’opera che ben ricorda la caricatura di Dürrenmatt, Critico con penna come lancia (1946). La passione per l’arte era condivisa da Sciascia, fondatore della rivista Galleria, collezionista, amante di opere grafiche, critico d’arte e amico di moltissimi artisti. I due si stimavano: Dürrenmatt conservava una copia di Todo modo (1974), mentre Sciascia in un’intervista confessò di ammirare lo scrittore elvetico (1988) e scelse come epigrafe di Una storia semplice (1989) una frase tratta da La giustizia.  

Oltre a questi punti di contatto – a partire dai quali è stato avviato nel 2021 il progetto “Dürrenmatt - Sciascia 100”, ideato da Madelaine Betschart e Sonja Riva, curatrici del citato albo illustrato – è indubbio che le maggiori affinità tra queste due “schegge impazzite” vadano rintracciate proprio nella loro sete di giustizia e ricerca della verità. «Stille di luce / contro le trame oscure del potere», così Sonja Riva definisce le parole di “Nanà” - ma che ben si adattano anche a “Fritz” - a corredo dell’opera di Binder, maestro della tecnica dello scratchboard, modalità di incisione che consiste nel raschiare l’inchiostro scuro per rilevare lo strato bianco sottostante. Visioni che si intrecciano, quelle di Dürrenmatt e Sciascia, ma anche quelle di Sciascia e Binder, uniti dalla passione per l’inchiostro («amavo gli strumenti dello scrivere […] l’inchiostro quasi me lo bevevo», disse lo scrittore siciliano) e per la letteratura, quel «sistema di “oggetti eterni” […] che variamente, alternativamente, imprevedibilmente splendono, si eclissano, tornano a splendere e ad eclissarsi – e così via – alla luce della verità
» (Nero su nero). 

L’ombra del cavaliere mancego attraversa pure un’altra opera illustrata da Hannes Binder, I fratelli neri (Zoolibri 2004), scritta da Lisa Tezner, «storia in bianco e nero di un ragazzo portato dalle montagne del Ticino direttamente nell’inferno dei camini assassini di Milano», città dove lavorò lo stesso illustratore: «l’inchiostro, materiale che allora era ancora indispensabile, conteneva anche fuliggine»; il disegno è dunque «graffiato direttamente nella fuliggine dei camini», commenta Binder nel libretto della sua ultima mostra, Graffi di luce dal nero, accolta alla Biblioteca cantonale di Bellinzona questo autunno. L’inferno di Giorgio, e dei tanti bambini ticinesi che nell’Ottocento venivano venduti per lavorare come spazzacamini, ha come nocchiero un uomo sfregiato e senza scrupoli: da Locarno lo farà traghettare, su una fragile barchetta carica di innocenti, a Milano. L’ade, si sa, non è solo fatto di fuoco, ma anche di ghiaccio: non furono pochi i piccoli spazzacamini che morirono assiderati. Come Dante che dal Cocito si arrampica su Lucifero per rivedere la luce del sole, così Giorgio deve attraversare tanti, troppi camini, che gli riempiono gli occhi e i polmoni di fuliggine e fumo. Finché, facendo un tragico capitombolo, dovrà stare a riposo, in una casa dove troverà un’amica e una speranza: «È come essere in paradiso: Giorgio non si è mai sdraiato su un vero materasso. E poi c’è caffelatte e pane bianco a colazione. […] Angeletta è contenta di avere compagnia. Giorgio non può smettere di raccontare. Lei, invece, gli legge ad alta voce pagine e pagine di un grosso libro». Si tratta del capolavoro di Cervantes, che forse ispirerà Giorgio: «Non ci può essere il progresso senza un’istruzione scolastica. […] Sono diventato insegnante perché voglio impegnarmi per una maggiore giustizia».

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I fratelli neri

  • Illustrazioni di Hannes Binder

Di lavoratori avvolti nel fumo e relegati ai margini della storia se ne parla pure in Ti chiamavano Cenzín (Edizioni Casagrande 2020), pubblicato in occasione del bicentenario della nascita di Vincenzo Vela: un’«epopea in bianco e nero», come la definisce l’ex direttrice del Museo di Ligornetto, Gianna A. Mina, che si dipana tra segno (Hannes Binder) e parola (Alberto Nessi). «Quando mi sono trovato di fronte all’altorilievo in bronzo Le vittime del lavoro di Vincenzo Vela», commenta Binder, «mi è stato chiaro come queste figure che avanzavano da sinistra a destra, come il senso della nostra scrittura, dovessero uscire dal monumento per iniziare il
road movie della vita dell’artista». Un omaggio agli operai che realizzarono il traforo ferroviario del San Gottardo, «immersi nel fango, il sangue avvelenato dai vermi, in ginocchio nell’acqua lurida, tormentati dal fumo»; ai «dannati della galleria», come il piccolo Cenzín, che a soli nove anni va a lavorare alle cave: «Quante schegge di maledizioni, sofferenze, illusioni. Quanto sudore, nel buco nero dove noi lavoriamo a un calore d’Inferno». I martiri del lavoro nella graphic novel diventano i cantori della vita dello scultore di Ligornetto, il solo che li ha ricordati: «il nostro nome è una favilla che si spegne subito. Solo un artista l’ha tenuta accesa. Vincenzo Vela». Una storia, come direbbe “Nanà”, che «gli altri hanno voluto dimenticare» ma che Hannes Binder, armato di raschietto, ha riportato alla luce. 

14:59

"Le vittime del lavoro" di Vincenzo Vela

RSI Cultura 19.10.1982, 10:00

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