Filosofia e Religioni

Charlie Hebdo 9 anni dopo: “Da quel giorno niente è cambiato”

Il caporedattore della rivista satirica francese torna sull’attacco terroristico del 2015 e fa il punto sulla libertà di espressione e le democrazie

  • 11 marzo, 11:15

Charlie Hebdo

Strada regina 09.03.2024, 18:35

  • Keystone
Di: Francesco Muratori

Il 7 gennaio del 2015, un commando di matrice islamica, fece irruzione nella redazione parigina di Charlie Hebdo, dodici collaboratori morirono e la scia di sangue e morte prosegui lungo la fuga dei terroristi. La sentenza a morte era di aver raffigurato in maniera irriverente il profeta Maometto.

«Da quel giorno niente è cambiato. Continuiamo sempre a fare quello che abbiamo sempre fatto. Gli assassini sono usciti per strada dicendo “Abbiamo ucciso Charlie Hebdo” e noi vogliamo dirgli: “No, avete fallito”». Cosi racconta Gérard Biard, caporedattore dal 2015 di Charlie Hebdo, in collegamento da Parigi, ai microfoni di Strada Regina.

La satira dileggia il potere, lo mette alla berlina, lo smonta. Continua Biard: «ll primo obiettivo della satira è di far riflettere. Se per di più fa ridere, allora siamo riusciti del tutto. Si deve mettere in evidenza certe cose che non sono evidenti per tutti, ovviamente non è piacevole, non è il suo scopo». Secondo Biard quindi si può fare satira su tutto, ma la libertà di espressione finisce con la legge. «In Francia la legge punisce chiunque attacchi le persone e non le idee. Non è lecito attaccare una persona per quello che è ma per quello che pensa e per i suoi atti».

Più spinosa è la riflessione sulla blasfemia. Dopo l’arresto in Pakistan di Asia Bibi, la prima donna cristiana condannata a morte per blasfemia, questo “reato” ha catalizzato l’interesse della comunità internazionale. In Svizzera, si legge nel codice penale «Chiunque pubblicamente ed in modo abietto offende o schernisce le convinzioni altrui in materia di credenza, particolarmente di credenza in Dio, ovvero profana oggetti di venerazione religiosa (…), è punito con una pena pecuniaria». Il pensiero di Gérard Biard anche su questo è netto e chiaro: «La blasfemia non è altro che la contestazione del potere e in questo caso del potere religioso. Lo vediamo, per esempio, in Iran: le donne che tolgono il velo sono considerate blasfeme. Perché contestano il potere». E in riferimento a chi si sente offeso per le vignette definite blasfeme aggiunge: «In democrazia io mi offendo tutti i giorni da tante cose che vedo. Mi offendo ma non vado in giro insultando la gente o sparando addosso alla gente. Imparare a offendersi e a dibattere di queste offese è imparare a essere cittadino. Una democrazia che non dibatte, che non ha un luogo dove c’è satira sulla politica e sul potere non è completamente una democrazia. Perché in una democrazia la base filosofica del suo esistere è che ogni legge, tutto, può essere contestato».

L’ultimo passaggio dell’intervista è su quanto valga la pena essere minacciati, vivere e lavorare sotto scorta per fare satira. «È una scelta andare avanti e andare avanti per i valori e le idee che difendiamo. Charb, morto nell’attentato e che fu il nostro direttore fino al 2015, diceva “Preferisco morire in piedi, che vivere in ginocchio”. Certo, non vogliamo morire, nessuno vuole morire. Però non vogliamo vivere in ginocchio».

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