Il 29 gennaio 1873 cinque Cantoni della Diocesi di Basilea depongono il vescovo, dando avvio anche in Svizzera ai moti del Kulturkampf, quale risposta culminante alla notifica della Santa Sede del dogma dell’infallibilità papale (Costituzione dogmatica Pastor Aeternus), votato dal Concilio Vaticano I e secondo cui «il pontefice è considerato infallibile quando definisce solennemente una dottrina di fede o di morale, agendo in funzione di Capo della Chiesa e di guida spirituale di tutti i Cristiani» (Dizionari Simone).
Il Kulturkampf, un conflitto culturale e insieme una lotta per la civiltà, affonda le sue origini in Germania un paio di anni prima (1871) e si traduce nella profonda spaccatura tra la Chiesa Cattolica (in particolare il partito di Centro di orientamento cattolico) e lo Stato prussiano di Bismark, avvenuta in seguito alla fondazione dell’Impero tedesco per controbattere l’influenza della Chiesa sugli Stati tedeschi, giudicata nefasta per l’unità della Germania. Un’importante fase di crisi che però anche molti altri Stati europei stavano attraversando nel contesto del processo di secolarizzazione che poi accompagnò alla modernizzazione, per affrancarsi dall’influenza della Chiesa, esercitata per secoli sul potere statale, ridefinendo dunque i loro rapporti.
Secondo quanto riportato dal Dizionario Storico della Svizzera, il primo ad utilizzare la parola Kulturkampf fu il patologo e parlamentare nazional-liberale Rudolf Virchow (1821-1902) proprio per identificare con un unico termine il conflitto politico, religioso e anche di principi che si era creato in coloro che credevano in una politica liberale, a sostegno di un’ideologia laica e positivista e in opposizione alla dottrina della Chiesa romana, identificata come il simbolo della reazione e dell’oscurantismo. In effetti, Virchow non solo si distinse nella sua attività principale quale medico (noto per aver fondato la patologia cellulare che rivoluzionò molti concetti medici, nonché il primo a riconoscere l’eziologia della leucemia e a spiegare l’embolia polmonare), ma si dedicò anche con impegno al tema della salute pubblica, denunciando le condizioni sociali che favorivano le epidemie e promuovendo riforme sanitarie. Per le sue idee si trovò in netto contrasto proprio con il primo ministro del regno di Prussia Otto von Bismarck, facendosi successivamente l’interprete del più ampio significato che assunse il lemma Kulturkampf.
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Uno scontro che, come detto, prese dunque piede in modo capillare a livello europeo, con ripercussioni notevoli sulla politica religiosa anche in Svizzera.
Sebbene tuttavia nella Confederazione elvetica le origini del Kulturkampf affondino già nel periodo illuminista e nella Repubblica Elvetica, la svolta decisiva avvenne durante la Rigenerazione, con l’affermazione del liberalismo come dottrina politica e ideologica negli anni 1830-40. Principi liberali dai quali scaturì non solo una netta condanna di Papa Gregorio XV e della sua enciclica Mirari vos sulla libertà di coscienza (1832), ma che condussero anche agli articoli di Baden nel 1834, promulgati a seguito di una conferenza indetta nel comune argoviese omonimo dal governo liberale di Lucerna per regolare i rapporti tra Chiesa e Stato, alla quale parteciparono diversi cantoni. Incontro che propose di elevare la diocesi di Basilea ad arcidiocesi e che approvò 14 risoluzioni (identificati appunto Articoli di Baden) che rivendicavano maggiore indipendenza dei vescovi dal papa, così come il controllo statale sulla Chiesa. Anche in questo caso vi fu una condanna papale, nel 1835. Gli articoli furono adottati solo dai cantoni liberali, avendo scatenato forti opposizioni nei cantoni cattolici, che sfociarono successivamente in rivolte e repressioni; presero così avvio le tensioni politico-confessionali che culminarono infine nella guerra del Sonderbund (1845).
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Si rese così effettivo lo scontro tra le forze conservatrici e quelle progressiste-liberali che, spesso, coincisero con il contrasto instauratosi tra cantoni cattolici e riformati, intensificatosi appunto dopo eventi quali l’affare dei conventi di Argovia, l’arrivo dei gesuiti a Lucerna (1844), le spedizioni dei Corpi Franchi, la fondazione del Sonderbund e la nascita dello Stato federale. Questa contrapposizione fece giungere a una “riconfessionalizzazione” di entrambe le parti, causando anche una spaccatura tra i cattolici all’interno dello Stato federale. La maggioranza conservatrice venne marginalizzata, mentre i cattolici liberali furono integrati nella classe dirigente, e la Chiesa e i cattolici conservatori si orientarono sempre più verso Roma.
Dal 1848 venne dunque creata una rete di associazioni cattoliche per intensificare la vita ecclesiastica, che di rimando fece scaturire anche nuovi conflitti, preparando di fatto il terreno per l’instaurarsi del Kulturkampf degli anni 1870-80. Ad esempio, nel Canton Friburgo il vescovo Étienne Marilley difese i privilegi tradizionali della Chiesa cattolica contro il programma anticlericale del governo radicale friburghese; Marilley accettò quindi di giurare sulla Costituzione cantonale del 1848 ma con delle riserve, venendo poi destituito, arrestato ed esiliato in Francia fino al 1856. Al contrario, nel Canton San Gallo, tra il 1855 e il 1857, il governo liberale tentò di ridurre l’influenza della Chiesa sull’istruzione pubblica, abolendo le scuole secondarie confessionali (1855) e istituendo una scuola cantonale paritaria (1856), mentre in Ticino la legge civile-ecclesiastica del 1855 sottopose ogni attività religiosa al controllo statale e, in Giura, vennero adottate misure per escludere le suore cattoliche dalle scuole; infine a Zurigo nel 1862, il Gran Consiglio decise di sopprimere l’abbazia di Rheinau, per poi essere ridestinata qualche anno più tardi a clinica psichiatrica.
Convento di Rheinau (2012).
Un anno decisivo per il Kulturkampf fu il 1864, quando l’8 dicembre (giorno per altro votato al dogma cattolico dell’Immacolata Concezione) venne pubblicata l’enciclica Quanta cura di Pio IX, nella quale il papa condannava le misure adottate dagli Stati liberali contro la Chiesa e gli ordini religiosi, riaffermando la censura espressa da Gregorio XVI nella già citata enciclica Mirari vos, e chiedendo che il cattolicesimo mantenesse un trattamento giuridico privilegiato. All’enciclica fu allegato anche il Sillabo: un elenco costituito dagli ottanta errori ai quali i fedeli dovevano prestare particolare attenzione, espressi con posizioni autoritarie e difensive, e che di fatto rifiutavano ogni possibilità di conciliazione tra la dottrina della Chiesa cattolica e i nuovi dettami liberali per il progresso, il liberalismo e per la costruzione di una civiltà moderna.
Questa netta posizione alimentò ulteriormente la lotta, già latente nei cantoni a guida liberale e radicale, nella seconda metà degli anni 1860-70, esplodendo poi ufficialmente dopo che furono definiti i dogmi del primato pontificio e dell’infallibilità del magistero papale durante il Concilio Vaticano I. Carl Johann Greith, vescovo di San Gallo , nella lettera pastorale dei vescovi svizzeri del 1871, tentò di ridimensionare l’impatto del dogma, ma una parte dei cattolici liberali-radicali promosse la fondazione della Chiesa cattolico-cristiana, separandosi da quella romana. Il conflitto si intensificò poi anche con la revisione della Costituzione federale e dopo la scomunica del parroco Paulin Gschwind (1872) e la nomina del vicario apostolico Gaspard Mermillod a Ginevra senza consultazione governativa (1873). Il 29 gennaio di quello stesso anno i cantoni radicali reagirono con la destituzione del vescovo di Basilea Eugène Lachat e con l’espulsione di Mermillod dalla Svizzera. A Berna furono allontanati anche i sacerdoti giurassiani fedeli a Lachat e venne imposta una Costituzione ecclesiastica democratica. La rottura diplomatica tra Svizzera e Santa Sede non tardò ad arrivare, in particolare dopo la pubblicazione dell’enciclica Etsi multa luctuosa di Pio IX (1873) che condannava il Kulturkampf, e che portò all’estromissione dal Paese anche del nunzio apostolico, inviato papale per la diplomazia.
Le misure contro la Chiesa Cattolica furono rafforzate ulteriormente nel 1874 attraverso l’inserimento di articoli d’eccezione nella Costituzione federale, come ad esempio un articolo che prevedeva l’istituzione dei vescovadi solo dopo l’approvazione della Confederazione (articolo rivisto nel 1998), affievolendo di conseguenza le tensioni del Kulturkampf (per altro già diminuite con l’insorgere della crisi economica post-1873).
Come riportato anche nella cronologia del Dizionario storico della Svizzera, cinque anni più tardi, con l’elezione di Leone XIII, vi fu poi una riapertura del dialogo, e le trattative tra la Santa Sede e il Consiglio federale fecero giungere a soluzioni di compromesso: la revoca dell’espulsione dei preti giurassiani, la nomina di Mermillod a vescovo di Losanna e Ginevra con sede a Friburgo, e la risoluzione della crisi nella diocesi di Basilea con il trasferimento di Lachat a Lugano, così come la nomina di Friedrich Fiala quale vescovo di Basilea nel 1885. Fu la fine ufficiale del Kulturkampf elvetico. Con l’elezione nel 1891 di Josef Zemp, il primo Consigliere federale cattolico conservatore, iniziò anche il processo di integrazione dei cattolici conservatori nello Stato federale, diventata un’alleanza tra radicali e conservatori dopo la Prima guerra mondiale per contrastare la socialdemocrazia e il ripristino della Nunziatura a Berna nel 1920, senza che tuttavia i contrasti sul piano confessionale e culturale si appianassero veramente.
In definitiva, a livello svizzero il Kulturkampf rappresentò soprattutto una crisi di modernizzazione, e questo limitò l’influenza del clero in una società sempre più secolarizzata. Le fratture politiche ed ecclesiali che ne derivarono, influenzarono le sorti della Confederazione elvetica fino al XX secolo; non tutte le questioni infatti si risolsero definitivamente, riaccendendo di volta in volta il dibattito. Si pensi ad esempio al dibattito sulle scuole confessionali, alla questione giurassiana, alle votazioni sugli articoli costituzionali relativi ai gesuiti del 1973 e alle diocesi del 2001. Ma nonostante questo, i moti del Kulturkampf furono e rimangono un evento cardine anche della storia elvetica, identificabile effettivamente come una lotta di civiltà e non solo come espressione del tradizionale conflitto tra Stato e Chiesa.