Storia

Donne, natura e medicina tra immaginario e tradizione

La figura femminile come simbolo di sapere ancestrale e di connessione con la natura

  • 1 novembre, 08:27
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Illustrazione del Codex Vindobonensis. Österreichische Nationalbibliothek, Vienna. XIV secolo

Di: Anna Brunati 

Depositarie dei segreti delle erbe e delle loro proprietà fin dai tempi antichi, le donne hanno svolto un ruolo significativo nel campo della medicina, nonostante un contesto sociale generalmente dominato dagli uomini. Con uno sguardo alle divinità egizie, greche e romane, fino alle figure archetipiche della maga e della strega, si intuisce come la figura femminile sia stata cruciale nell’ambito delle cure erboristiche e mediche, anche nell’immaginario collettivo. Oltre a alla figura della guaritrice popolare, vale anche la pena menzionare alcune delle donne che hanno segnato lo studio e la pratica della guarigione attraverso le piante officinali, dando un importante contributo alla scienza botanica. 

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Nelle prime comunità organizzate, erano le donne a occuparsi di raccogliere e lavorare le materie prime, a farne rimedi con cui curare i figli dai piccoli malanni, ad aiutare le altre donne nel parto. Le donne hanno svolto un ruolo cruciale nell’assistenza medica per secoli, in ogni angolo del mondo, ricoprendo varie figure, spesso complementari: sacerdotessa, sciamana, guaritrice, levatrice, erborista, maga, monaca, alchimista. Va pure ricordato come nelle antiche civiltà, le pratiche mediche siano sempre state affiancate a quelle spirituali e religiose, come naturale risultato di un approccio olistico alla salute, che rifletteva una visione tripartita dell’essere umano in cui corpo, mente e spirito erano considerati interconnessi. Un aspetto che si riflette nelle antiche teogonie, dove le divinità femminili erano spesso associate all’ambito della salute e alla conoscenza delle piante; al sapere terapeutico, ma anche magico. Basti pensare a Iside, tra le principali divinità della religione egizia: dea della maternità, della fertilità, della guarigione e della magia. Oppure alle cinque divinità figlie di Asclepio, complementari al culto del dio della medicina. Tra le quali Igea e Panacea: la prima, dalla quale deriva il termine “igiene”, dea della salute venerata anche nella religione romana; la seconda, “colei che guarisce tutto”, la personificazione della guarigione universale ottenuta proprio per mezzo delle piante.  

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Circe invidiosa di John William Waterhouse

Tuttavia, se la storia ricorda figure quali Metrodora, ginecologa e scrittrice greca vissuta tra il II e il IV secolo, o Agnodice, citata nei racconti dello scrittore romano Igino come prima donna medico (dove la leggenda si confonde con la storia), all’interno di società fortemente patriarcali come quella greca e quella romana, la pratica medica è stata a lungo preclusa alle donne, già tagliate fuori da molti aspetti della vita sociale. Un’esclusione che ha relegato ai margini la pratica femminile e che in qualche modo sembra rispecchiarsi in un’altra versione della loro rappresentazione simbolica, meno rassicurante. Nell’Odissea di Omero e nelle Metamorfosi di Ovidio spicca il personaggio di Circe, detta “polipharmakos”, colei “dalle molte pozioni”. Circe conosce le proprietà magiche e curative delle erbe, ma con le stesse è in grado di nuocere e trasformare gli esseri umani in animali o mostri. Anche Medea emerge come una fattucchiera, capace di inganni e malefici con l’aiuto dei suoi potenti intrugli. Una diffidenza che nella Bibbia si consolida inesorabilmente nell’accostamento tra Eva e il serpente, simbolo al tempo stesso di conoscenza e di perdizione. Contribuisce a rafforzare l’archetipo della maga la figura di Morgana, ispirata alle divinità celtiche, dotata di poteri soprannaturali, antagonista di Artù e Merlino nelle leggende arturiane. Alcuni secoli più tardi, verso la fine del Medioevo, si afferma definitivamente la figura della strega, connessa al demonio e dedita ai malefici. Un’immagine ormai caricaturale, simbolo del conflitto ancora vivo tra il culto della medicina naturale e popolare e quella accademica. E che esprime il condizionamento, nel mondo occidentale, che ha tanto pregiudicato e ostacolato l’accesso delle donne al campo medico e alla storia ufficiale.

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Parallelamente, si è delineato anche un altro percorso: lo sviluppo delle conoscenze fitoterapiche ha ad esempio trovato spazio negli orti dei semplici dei monasteri medioevali. In questo contesto si afferma la figura di Ildegarda di Bingen, monaca benedettina vissuta nel XII secolo, autrice di due trattati enciclopedici in cui raccolse tutto il sapere terapeutico e botanico del suo tempo, elaborando cure e rimedi per diverse affezioni. Un percorso nel quale si inseriscono diverse altre figure che hanno influenzato profondamente la pratica della guarigione attraverso le piante. Come Maria Sibylla Merian, naturalista tedesca vissuta nel XVII secolo e pioniera nell’osservazione botanica. O Jean Baret, che si travestì da uomo per seguire il naturalista francese Philibert Commerson nella sua spedizione intorno al mondo, contribuendo alla scoperta e alla classificazione di numerose specie di piante.

Un patrimonio che è giunto fino a noi, ma non senza difficoltà. Ripercorrere il legame tra donne, natura e medicina è un modo per riscoprirne il contributo, spesso dimenticato dalla storia ufficiale. Ma anche per riabilitare la pratica erboristica, ancora facilmente relegata alla superstizione e al folklore e associata a un sapere magico, esoterico, contrapposto al sapere accademico. In un’epoca in cui la medicina moderna presenta anche limiti e criticità, l’antico sapere delle guaritrici merita oggi uno sguardo più approfondito, per riportare alla luce un corpo di conoscenze che risale alle origini della storia.

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