Dalle valli alpine, alle valli belghe: lungo il corso di tutto il Settecento un nutrito numero di ticinesi (oltre che di lombardi) si mosse alla volta dell’odierno Regno del Belgio, un paese la cui storia fino al XIX secolo s’identifica con quella delle Fiandre e della parte meridionale dei Paesi Bassi, e fu sottoposto dapprima al dominio spagnolo (1500-1600) e poi a quello austriaco (a partire dal 1700). Dopo un lungo periodo di conflitti, la regione fiamminga si impegnò dunque fortemente nel promuovere la sua ricostruzione, chiamando numerosi artisti ed artigiani a raggiungere il Paese per sistemare o per rinnovare svariati edifici; tra di essi gli italofoni spiccarono in modo particolare: furono almeno trenta gli artisti, soprattutto stuccatori, provenienti dalla regione dei Laghi lombardo-ticinesi, grazie ai quali il patrimonio artistico belga fu notevolmente arricchito, soprattutto nella parte centrale, meridionale ed orientale della nazione.
Le tappe principali che costituirono il flusso migratorio, secondo un criterio cronologico, territoriale e chiaramente artistico, furono essenzialmente quattro. In una prima fase gli artisti dei Laghi lavorarono nella regione delimitata da Liegi, Maastricht e Aquisgrana, tra il 1715 e il 1740 circa, con uno stile ancora prettamente barocco. Nel ventennio successivo invece, gli artisti operarono sempre prevalentemente a Liegi -prima area urbana della Vallonia- ma iniziarono anche ad estendere la loro attività lungo la Mosa, nelle province attorno alla città, nel Limburgo e nei cantoni germanofoni; in questa seconda ondata si impose in particolare l’utilizzo dello stile rococò. Tra il 1760 e il 1780 il flusso migratorio si mosse poi in parallelo con l’edificazione di numerosi ed importanti monumenti, coinvolgendo nello specifico Bruxelles e la circostante regione, così come la valle della Mosa. Lo stile rococò permase ancora, ma con una forte spinta neoclassica. Nella quarta fase, infine, in un periodo definito tra il 1780 e sino all’indipendenza del Belgio (1830), ci fu una sempre maggior tendenza neoclassica, con una predilezione per lo stile Impero; un periodo a partire dal quale si assistette comunque anche ad una lenta ma progressiva diminuzione degli artisti provenienti dalla regione insubrica su suolo belga.
Sala dei passi perduti nel municipio di Liegi, con gli stucchi di Vassalli.
Lo stuccatore Francesco Antonio Vassalli, nato nel 1690 circa a Riva San Vitale e deceduto dopo il 1763 a Castle Howard (Inghilterra), si recò a Liegi nel 1722 e, come ricorda lo studioso Bernard Wodon (Carnets du Patrimoine n° 149. L’hôtel de ville de Liège. Un remarquable florilège d’ornements, 2017) a lui va il merito delle conchiglie di stucco del “salone dei passi perduti” nel municipio cittadino, architettura simbolo dell’orgoglio delle antiche libertà civiche e della neutralità del paese; una curiosa analogia con la Confederazione elvetica, nel cui Palazzo Federale a Berna si trova appunto la Sala dei passi perduti, deputata agli incontri tra parlamentari e il pubblico, o con la stampa. Nel caso di Liegi, il municipio venne raso al suolo nel XV secolo da Carlo I il Temerario di Borgogna durante la Rivolta di Liegi da lui repressa con forza, fomentata dal re di Francia Luigi XI per contrastare le mire del duca borgognone di creare un regno indipendente fra la Parigi centralizzatrice del re e la confederazione imperiale di Federico III, unificando i propri dominii borgognoni a quelli nei Paesi Bassi (intento fallito, anche grazie alle successive resistenze postegli dagli otto cantoni svizzeri durante le Guerre di Borgogna). Omaggio alla città per questa pagina di storia fu il Reliquiario eseguito dall’orefice Gerard Loyer, dal peso di oltre cinque chilogrammi (di cui 2,1 di argento e 2,9 d’oro), custodito nella Cattedrale di Saint-Paul a Liegi; la cattedrale fu investita da diverse alterazioni e ristrutturazioni a partire dalle sue origini attorno al 1230 e fino all’edificazione di un piano supplementare alla torre del XIX secolo, a imitazione di quella di Saint-Lambert. Da qui, anche il nome del tesoro: il Tesoro di Saint-Lambert, che fornisce appunto un itinerario storico ed artistico dell’antico Principato Episcopale di Liegi, collezionando pezzi appartenenti al patrimonio medievale della città come, ad esempio, il celebre busto-reliquario di Saint-Lambert (San Lamberto, 1512 circa), l’avorio mosano delle Tre Resurrezioni e, appunto, il famoso Reliquiario di Carlo I il Temerario datato 1467 circa.
Reliquario di Carlo I il Temerario.
Per quanto riguarda poi il Palazzo municipale di Liegi, nell’aspetto che ancora oggi si può ammirare, la mano ticinese fu quella di Giuseppe Artari, scultore e stuccatore nato ad Arogno nel 1697 e poi morto il 19 gennaio del 1771 a Bonn. Secondo la biografia curata da Lucia Pedrini Stanga (I Colomba di Arogno), Artari fu un cosiddetto ‘figlio d’arte’ per quanto attiene al mestiere, ereditandolo dal padre Giovanni Battista Artari. Studiò a Roma, poi lavorò con il padre e con altri stuccatori suoi conterranei specialmente in Germania, in Olanda e in Inghilterra (dove collaborò soprattutto con lo stuccatore originario di Rovio, Giovanni Battista Bagutti); per quanto riguarda il suo operato in Belgio ci sono invece meno attestazioni, ma con certezza si sa che vi soggiornò nel 1719 quando eseguì un monumentale camino in stucco appunto nel Palazzo del municipio di Liegi. Fece poi ritorno in Germania, dove dal 1731 e fin verso il 1760 fu al servizio dell’arcivescovo di Colonia e principe elettore Clemente Augusto, per il quale decorò le residenze di Brühl (1731-1733), Bonn e Bonn-Poppelsdorf (1744). In questa fase si recò anche ad Oxford (1742-1744) e a Münster, dove lavorò nella chiesa di San Clemente (1750-1752) e nell’Erbdrostenhof (1754-1757), secondo i dettami del nuovo gusto rococò (distanziandosi quindi progressivamente dallo stile barocco paterno).
Palazzo dei Principi-vescovi di Liegi.
Su commissione di Giuseppe Clemente di Baviera, alcuni anni prima di Artari, anche il ticinese Enrico Zuccalli venne chiamato nella città belga durante i lavori di ristrutturazione del Palazzo vescovile, avvenuti nel 1695. Nato a Roveredo (GR) nel 1642, fu anch’egli figlio di uno stuccatore; la sua formazione iniziale però, secondo quanto documentato da Cesare Santi, è da collocarsi a Roma nel 1660 ca., dove si formò come architetto e dove, con buone ragioni, si mosse negli stessi ambienti nei quali operava anche lo scultore, urbanista e architetto Gian Lorenzo Bernini. Si spostò dalla Francia (1667) a Monaco (1669) con il cognato, per poi prestare servizio presso il principe elettore (1672), venendo nominato architetto (1673), capo architetto (1677) e primo architetto di corte (1679). Dopo degli impegni presi a Monaco di Baviera, sui primi del 1700 si spostò in Belgio, dove è attestata la sua attività dapprima a Bruxelles (con la ristrutturazione della residenza del governatore dei Paesi Bassi spagnoli Massimiliano Emanuele, 1694), e poi appunto nell’antica sede vescovile di Liegi, dove operò nel Palazzo dei Principi-vescovi situato nel centro della città (che oggi ospita il Palazzo di Giustizia e l’amministrazione provinciale), il cui rinnovo fu inizialmente voluto già dal principe-vescovo Érard de La Marck, in sostituzione delle parti distrutte durante l’assedio di Carlo I il Temerario, l’acerrimo degli Svizzeri. Enrico Zuccalli fece poi ritorno in Baviera, dove fu uno dei principali esponenti dell’architettura barocca, rinnovandola con elementi stilistici italiani e, in particolare, di ascendenza berniniana. Morì proprio a Monaco di Baviera nel 1724.
L’invito a raggiungere la Vallonia giunse però anche ad un altro artista della materia, che ben coniugava il cosiddetto “artista dei Laghi”, metà svizzero, metà italiano. Francesco Maria Cantoni, nato a Genova nel 1699, ma originario di Cabbio in Valle di Muggio, dove spirò nel 1772.
Domenico Parodi, La Toeletta di Venere e Personificazioni di Virtù, Galleria degli specchi a Palazzo Reale, Genova.
Uno stuccatore attivo in Liguria e in Lombardia, poi in Belgio e in Germania, come attestano le ricerche di Stefania Bianchi.
Francesco Maria Cantoni è l’ultimo nato di Pietro Cantoni e della seconda moglie Caterina Fontana, figlia di Giovanni Battista Fontana, attivo nell’edilizia. Poiché, dopo la morte del padre nel 1700, Caterina con la prole si trovò costretta da ragioni finanziarie a tornare in patria a Cabbio, Francesco Maria trascorse infanzia e adolescenza in valle di Muggio. Nel 1723 sposò Maria Caterina Fontana, figlia di Rocco Fontana, mastro attivo nei cantieri romani, con cui ebbe quattro figli: Pietro Matteo, Rocco, Giovanni Battista e Giacomo Cantoni, che avrebbero consolidato la fama della bottega e le relazioni da lui instaurate con i grandi committenti. Intorno ai 20 anni Francesco Maria Cantoni fece ritorno a Genova per completare il suo apprendistato di stuccatore, attività per cui dimostrò una grande predisposizione. Divenne uno dei protagonisti dello stucco plastico, incaricato del decoro nei palazzi e nelle chiese più prestigiosi della città, nelle residenze di villeggiatura e negli oratori dell’immediato entroterra genovese (maestranze artistiche). Fra le molte opere, eseguite in collaborazione con eminenti architetti, frescanti e quadraturisti, si annoverano la cappella della famiglia Moro nella chiesa di S. Stefano a Mossanzonico (presso Dongo nel Comasco, 1724) e a Genova gli stucchi in S. Chiara e S. Ambrogio (1724-1725), dove lavorarono rispettivamente i pittori Francesco Costa e Lorenzo De Ferrari. Francesco Maria Cantoni partecipò inoltre alla realizzazione della galleria degli specchi di palazzo Balbi-Durazzo, oggi Palazzo Reale (1725), e realizzò l’altare della chiesa di S. Spirito (1728), l’intero decoro della chiesa gentilizia di S. Torpete (1732-1733), progetto dell’architetto Giovanni Antonio Ricca il Giovane con cui Francesco Maria ebbe una collaudata collaborazione, come pure le cappelle nella chiesa di S. Rocco a Ognio in val Fontanabuona (1734).
Paragrafo estratto dal Dizionario Storico della Svizzera.
Il Belgio fu invece il luogo che lo ospitò tra il 1738 e il 1741, invitato probabilmente dai mastri e stuccatori Moretti, già attivi in Germania e in Belgio; si spostò con Pietro Matteo (con suo figlio maggiore) prima ad Aquisgrana e Malmedy, per poi raggiungere anche Liegi, dove stuccò il soffitto del Palazzo del Consiglio.
Armi elvetiche presenti nel museo Grand Curtius Museum di Liegi.
Dagli artigiani d’arte a quelli del metallo. A Liegi, infatti, la Svizzera ancora oggi è presente anche grazie alle collezioni di armi da fuoco, in particolare nel Grand Curtius Museum: un complesso museale inaugurato nel 2009, ospitato in alcuni edifici storici restaurati risalenti al XVI, XVII e XVIII secolo. La quantità e la qualità delle collezioni riunite in questa sede rendono questo museo uno dei migliori in Europa, in cui ammirare non solo le collezioni riunite di vari musei cittadini, ma anche reperti archeologici della preistoria, preziosi manufatti del Medioevo e del periodo Barocco, così come capolavori di arte vetraria e orafa, senza dimenticare appunto le armi di varie epoche. In effetti, il Museo delle Armi è uno dei musei più antichi di Liegi: fu inaugurato nel 1885 su iniziativa delle autorità municipali e grazie alla donazione iniziale del produttore di armi belga Pierre-Joseph Lemille. In quel periodo (e per molto tempo prima), Liegi fu infatti una delle principali città al mondo per la produzione di armi portatili; il Gran Curtis espone dunque diverse migliaia di armi da fuoco e armi bianche, che provengono non solo dall’importante centro di produzione di Liegi, ma anche da altre regioni del mondo come la Confederazione elvetica, famosa per la sua storia legata alle armi e impegnata nella produzione di corazze e armi bianche nei cantoni confederati (Artigianato del metallo), in una concorrenza diretta con le importanti produzioni dell’Italia e della Germania. Le prime armi da fuoco portatili provenivano infatti specialmente da Brescia, punto di riferimento per i cantoni cattolici e per le retiche Tre Leghe fin verso il 1770, quando i primi schioppi giunsero poi da Saint-Etienne. I cantoni riformati si rifornivano invece dei moschetti e degli archibugi inizialmente per lo più in Baviera, poi in Turingia e in seguito soprattutto a Liegi, fino al 1870 circa.
Rovine della Fortezza medievale di Gräpplang (SG).
Non solo una collezione di armi svizzere, tuttavia, perché a questo riguardo vi sono anche due figure rappresentative del legame che esiste tra i nostri due Paesi: Karl Leonhard von Bachmann, che fu un ufficiale al servizio della Francia, prima vessillifero (1701), poi capitano (1711) e maggiore (1717), il quale fu poi nominato cavaliere dell’ordine di San Luigi (1719). Per quanto riguarda la Guardia svizzera, nel 1725 fu titolare della compagnia Besenval; prima nel reggimento Bourquy (1729) e poi nel reggimento Diesbach (1743) gli venne affidato il comando di mezza compagnia. Fu nominato tenente colonnello (1743), brigadiere e infine maresciallo di campo (1745). Fu invece di stanza a Liegi nel 1702 durante la guerra di successione franco-spagnola, poi a Landau (1704), a Ramillies e Menin (1706) nonché a Denain (1712).
Sempre di Glarona fu anche Franz Xaver Tschudi, barone di Flums e Gräpplang (famosa per le rovine della fortezza medievale di Gräpplang), le cui attestazioni lo vedono dapprima quale paggio alla corte di Giovanni Teodoro di Baviera (vescovo di Ratisbona, poi di Frisinga), successivamente alfiere (1730), capitano nel reggimento di fanteria bavarese Morawitzky (1736), maggiore nella campagna contro i Turchi in Ungheria (1737-38) e tenente colonnello (dal 1741). Durante la guerra di successione austriaca nel 1742 fu al servizio dell’imperatore Carlo II di Wittelsbach; fu fatto poi prigioniero di guerra degli Austriaci fino al 1745, divenendo infine anche camerlengo di Giovanni Teodoro, che nel frattempo era stato nominato principe vescovo di Liegi, per il quale Tschudi divenne tenente colonnello nella guardia del suo reggimento a Liegi.
Jan van Eyck
Voci dipinte 19.04.2020, 10:35