Storia

In cerca di fortuna

La straordinaria storia dell’emigrazione ticinese

  • 23 ottobre 2023, 21:10
  • 18 marzo, 09:12
1:17:39

In cerca di fortuna

La storia infinita 23.10.2023, 21:10

Di: Jonas Marti 

Che cosa sono cento anni di fronte alla lunga durata della storia? Nulla. Eppure il mondo incede veloce, drammi e sogni delle nuove generazioni soppiantano quelli delle vecchie, la memoria lentamente svanisce e di colpo ci si sveglia un mattino senza nemmeno più ricordarsi di quello che è stato.
Siamo stati migranti, anche noi. Dal 1850 al 1930 dal Ticino sono partite 50’000 persone.
50’000 addii e speranze, illusioni e disillusioni, di uomini, donne e persino bambini. Perché i luoghi dove oggi viviamo, le città e le valli della Svizzera italiana, erano molto diversi per i nostri nonni e bisnonni. Plinio Martini, lo scrittore valmaggese nato cento anni fa, nel suo romanzo simbolo Il fondo del sacco scrive della valle Bavona, ma altrove le cose non dovevano essere tanto migliori:
«Guardavo in giro la fatica che avevano fatto i nostri vecchi a mettere insieme abbastanza terra per non morire di fame. Avevano tirato in piedi cascine, costruito chilometri di muri nei prati, rizzati ripari contro il fiume, portata persino la terra sopra i massi più grossi per farci un orto. Era una pazienza di secoli, e poi nel tempo di un Ave Maria cadeva la frana e la piena portava via tutto. È un paese da lasciare alle vipere».

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Emigrati ticinesi negli Stati Uniti (Jari Pedrazzetti)

La pandemia dell’emigrazione
Le statistiche della Vallemaggia sono impressionanti. Dal 1834 al 1856, da Giumaglio emigra il 19,9% della popolazione. Bosco Gurin è al secondo posto, con il 19,6. Seguono Maggia (18,1) e Someo (17,9). A metà Ottocento la febbre dell’emigrazione si diffonde come una pandemia nella valli superiori del Ticino. Ed è vista come una benedizione. A partire sono i giovani, provenienti soprattutto dalle famiglie povere. Ci si immaginava che avrebbero inviato ai propri genitori grandi somme di denaro e poi, dopo qualche anno, avrebbero fatto ritorno a casa, si sarebbero sposati con le giovani donne rimaste al villaggio e sarebbero vissuti felici e contenti. Non è stato così: solo pochi sono tornati, quasi tutti si sono stabiliti al di là dell’Oceano.

La California, terra promessa. Tutto comincia il 24 gennaio del 1848, nel possedimento di un immigrato svizzero, John Sutter. Durante alcuni lavori di carpenteria, un operaio trova per caso la prima pepita d’oro. La notizia rimbalza in pochi mesi da San Francisco a New York, e dalle coste americane fino alle sperdute valli ticinesi. Attirati dalla facile ricchezza, molti ticinesi salpano per l’America. Ma non è solo l’oro ad attirarli. Anche la terra: vasta e vergine, al contrario dei piccoli appezzamenti alpini che in patria non bastano mai. Nei successivi decenni a tentare l’avventura californiana saranno quasi 30 000 ticinesi, che con fatica e sacrificio riusciranno a gestire ed acquistare proprietà vaste quanto la superficie del cantone.

Un viaggio difficile
Ma emigrare non è per niente facile. Per partire ci si indebita. La comunità si impegna a finanziare il viaggio che è lungo ed estenuante. Ci si imbarca nei porti europei. A New York si cambia nave e si fa rotta su Panama. Il canale non c’è ancora, l’istmo è attraversato a piedi con il rischio della malaria. Oppure si circumnaviga l’America del Sud. Ma si racconta anche di alcuni verzaschesi che attraversano le infuocate montagne messicane a dorso d’asino o di altri che, prima della ferrovia, percorrono con le carovane la leggendaria pista del Far West, affrontando gli attacchi - che nelle loro lettere definiscono le “cattiverie” - dei nativi americani.
Qualcuno, ieri come oggi, rischia anche il naufragio. Lo testimonia un prezioso ex voto conservato a Cavigliano che ritrae un vascello nella tempesta. Il dipinto è stato commissionato da una certa Maria Brughella di Lavertezzo che il 29 giugno del 1870 Maria Brughella di Lavertezzo rischia di morire in mare con il figlio mentre sta attraversando l’Atlantico per raggiungere la California.

Storie di successo
Su 50’000 emigrati però qualcuno è riuscito a fare fortuna e in un qualche modo è entrato nella storia. A Londra il bleniese Carlo Gatti crea un impero partendo dai gelati. Ha un’intuizione: venderli a un penny. Importa ghiaccio dalla Norvegia e uomini dalla valle di Blenio che utilizza per diffondere il suo nome in una specie di franchising. In poco tempo i caffè ticinesi nel centro di Londra sono più di cento e se un londinese vuole bersi un caffè è costretto a prenderlo da un ticinese. Altra figura straordinaria è Alfonsina Storni: partita bambina da Sala Capriasca nel 1896 è considerata ancora oggi la più grande poetessa dell’America latina. O ancora Mosé Bertoni, idealista, tipografo, scienziato, botanico, antropologo: nella foresta amazzonica scopre per primo la stevia, pianta dal miracoloso potere dolcificante.

La montagna fabbrica di uomini
Diceva il grande storico francese Fernand Braudel che la montagna è una fabbrica di uomini al servizio della pianura. L’emigrazione crea contrasti fortissimi nell’anima dei ticinesi, che di colpo passano dalla capra alla metropolitana. «Il canton Ticino in facia a questi paesi è un milione di anni indietro», scrive nel 1904 Iginio Papa emigrato in California.

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