Storia

L’antico culto del Sole sul San Gottardo

Una teoria settecentesca, controversa e allo stesso tempo affascinante, che racconta l’ancestrale devozione di una popolazione celtica che avrebbe abitato i territori attorno al massiccio alpino

  • Oggi, 08:13
La Tremola, sul Passo del San Gottardo

La Tremola, sul Passo del San Gottardo

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Di: Francesco Cerea 

Nel 1782 a Zurigo, venne data alle stampe una curiosa dissertazione del barone Beat Fidel Zurlauben dal titolo Le Soleil adoré par les Taurisques sur le Mont Gotthardt, dedicata alla Società Elvetica riunita in assemblea a Olten il 13 maggio del medesimo anno. Infatti il Secolo dei Lumi rappresentò anche in Svizzera un’epoca di grande fermento culturale che trovò una delle sue rappresentazioni più vigorose nello speciale circolo di amici, riuniti attorno a illustri figure come Hans Caspar Hirzel, Isaak Iselin o Joseph Anton von Balthasar, a cui venne appunto dedicato il peculiare testo scritto dall’erudito barone.

Dissertazione sul culto del Sole, di Beat Fiedel Zurlauben (1782).

Copertina originale della dissertazione sul culto del Sole. Beat Fiedel Zurlauben (1782).

  • Francesco Cerea

Zurlauben fu l’ultimo esponente di una delle più illustri casate della Svizzera centrale, che proprio con lui si estinse in linea maschile. Egli nacque nel 1720 a Zugo e visse nell’infanzia il trauma degli sconvolgimenti politici che investirono il piccolo cantone durante il primo conflitto fra “Duri” e “Moderati”, cui seguì la caduta in disgrazia di suo zio, il landamano Fidel Zurlauben, che morì dunque in esilio a Lucerna.

Il giovane aristocratico passò la sua giovinezza all’estero al servizio della monarchia francese, nella quale il suo casato si era distinto da secoli, proponendo fedeli ufficiali mercenari alle dinastie dei Valois e poi dei Borbone. Nel 1780, ormai raggiunto il grado di tenente generale e dotato di una cospicua pensione dalla corte di Versailles, Beat Fidel Zurlauben decise di ritirarsi dalla vita militare, lasciando a suo genero la milizia di cui era titolare, per potersi dedicare alla sua passione storica. Proprio in quei fervidi anni di studio il barone lavorerà alla sua enciclopedica opera, oltre che ad una delle più complete pubblicazioni sull’antica Confederazione, ossia i famosi Tableaux topographiques, pittoresques, physiques, historiques, moraux, politiques, littéraires, de la Suisse (1780-1788), testo arricchito di acqueforti che ancora oggi rappresentano un prezioso tesoro iconografico per la nazione. 

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Beat Fidel Zurlauben († 1799)

Ma cosa spinse l’aristocratico svizzero ad occuparsi di un ipotetico culto del sole sul San Gottardo?  La risposta si trova in una cornalina conservata a quell’epoca nelle collezioni fiorentine del Granduca di Toscana. A prima vista la qualità di incisione della corniola venne descritta come leggermente rozza, il che sembrerebbe indicare che sia stata realizzata in qualche città diversa da Roma dove l’arte di incidere medaglie e pietre era da tempo elevata al massimo grado di perfezione. La pietra raffigurava un giovane con la testa raggiante rivolto a destra, che stendeva una mano, tenendo nella sinistra una frusta. La figura è posta su una base che si erge sopra un gruppo di montagne appuntite e a destra si segnalano queste parole: TAVPIC, mentre sul lato sinistro appare una capra barbuta, con due corna appuntite.

Discostandosi dal parere dell’erudito fiorentino Anton Francesco Gori che vedeva un legame tra il giovane raffigurato e il colosso di Rodi, il barone Zurlauben ipotizzò invece un collegamento diretto tra il manufatto e la popolazione celtica dei Taurisci, i quali ebbero un rilevante ruolo nella diffusione del culto del Sole nelle regioni da loro abitate, che comprendevano un’area vasta da Turicum (l’odierna Zurigo) al Gottardo e finanche la Leventina (un’ origine leggendaria vedeva proprio nei Leponzi un ramo distaccatosi dai Taurisci). Infatti, ad avviso dell’aristocratico studioso, era palese che i Celti in Helvetia adorassero il Sole in una divinità dal nome di Beleno, similarmente al culto di Mitra nei popoli d’Oriente, come testimoniavano gli utensili alludenti alla storia di Fetonte, rinvenuti nel 1633 a Wettingen in Argovia. A riprova del legame tra i Taurisci e Uri, secondo Zurlauben ci sarebbe pure l’araldica; infatti l’animale simbolo nello stemma del cantone alpino è proprio l’antico bovino ancestrale ed estinto, detto in latino Urus e in alto alemanno Ur (oggi noto come Bos primigenius / Auerochse). Questo tema non era un vezzo soltanto dell’aristocratico svizzero, ma rimase spesso attestato nelle pubblicazioni più illustri di età barocca e illuminista, sia in Svizzera che in Europa, basti pensare che pure nella famosa Encyclopédie di Diderot e d’Alembert del 1751 viene riportato come un dato di fatto acclarato quello della discendenza degli abitanti dell’antico cantone sovrano di Uri dai Taurisci, attualmente ipotesi remota, ma all’epoca considerata veritiera e largamente accettata.

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Il San Gottardo degli scrittori

Laser 18.06.2021, 09:00

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Sempre nella medesima pubblicazione stampata in onore della Società Elvetica nel 1782, il barone Zurlauben, dopo essersi sforzato di dimostrare la sua teoria di un culto per la divinità solare dei Taurisci, come indicato dalla corniola in possesso del Granduca di Toscana, passò quindi a illustrare l’etimologia del Gottardo, legando l’origine del nominativo alla sua altitudine e dunque a quell’aspetto di sacralità pagana perfetta per fare da sfondo a dei riti in onore della divinità solare. Il testo dedicato a Uri andrebbe quindi contestualizzato anche al periodo, ormai neoclassico, intriso sia nelle lettere che nelle arti di riferimenti alle antichità, ma pure a certi pensieri progressisti ormai a ridosso della Rivoluzione Francese, quando Zurlauben fa appunto riferimento in più passaggi al concetto di libertà elvetica.

Questo tema gli fu sempre caro, salvo poi concludere paradossalmente il testo con una esortazione a Olten, città sede dell’assemblea della Società Elvetica, invitando la locale popolazione a conservare nei propri cuori i sentimenti inalterabili di rispetto, gratitudine e dedizione per i Sovrani (ossia la città-stato di Soletta), che meritavano fra i tanti titoli pure quello di “padri dei loro sudditi”.  Questo paternalismo tipico dei governi dei Cantoni sovrani della vecchia Confederazione fu un atteggiamento che contraddistinse tutto l’antico regime elvetico e di cui Zurlauben fu uno dei più illustri rappresentanti insieme con il suo amico il barone di Besenval, tra l’altro uno dei favoriti della regina Maria Antonietta. Un mondo dorato e chiuso negli splendori di Versailles, ma che crollò repentinamente pochi anni dopo la pubblicazione del testo realizzato per la Società Elvetica di Olten. Un sole nuovo stava infatti sorgendo nel 1789, quello dell’Età contemporanea.

23:47

Tra storia e mito (di Brigitte Schwarz) - 23.05.2016

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