Storia

Sincronia cerebrale

Come i nostri cervelli si parlano

  • 04.10.2023, 08:28
  • 05.10.2023, 09:51
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Di: Clara Caverzasio 

Siamo proprio sulla stessa lunghezza d’onda! Lo abbiamo detto tutti, per esprimere una perfetta comunanza di pensieri, interessi, sentimenti. In realtà l’esperienza di “essere sulla stessa lunghezza d’onda” di un’altra persona è reale, ed è visibile nell’attività del cervello. Lo dimostrano le ricerche condotte dalla neuroscienziata cognitiva Thalia Wheatley, direttrice del Consortium for Interacting Minds e del Dartmouth Social Systems Laboratory della University of Massachusetts (Dartmouth), dove si occupa di ricerche nel campo della neuroscienza sociale.
“Quando parliamo tra di noi, creiamo un unico cervello superiore che non è riducibile alla somma delle sue parti“. Quando ciò accade, “come quando l’ossigeno e l’idrogeno si combinano per fare l’acqua, si crea qualcosa di speciale che non è riducibile all’ossigeno e all’idrogeno in modo indipendente“.

In sostanza quando interagiamo si crea o si può creare una sorprendente sincronia cerebrale. Ovvero la tendenza dei neuroni nel cervello di due o più persone a lavorare insieme in modo coordinato e sincronizzato durante determinate attività cognitive.
Una sincronizzazione che ora può essere misurata tramite varie tecniche, grazie ai numerosi studi condotti negli ultimi vent’anni.
Tra le prime ricerche in questo ambito vi sono gli studi pionieristici del neuroscienziato Read Montague del Baylor College of Medicine di Houston (Texas). Nel 2002, assieme al suo gruppo di ricerca, Montague ha introdotto il cosiddetto hyperscanning (iperscansione) per la misurazione simultanea delle attivazioni cerebrali in due soggetti interagenti.
I neuroscienziati infatti avevano fin lì studiato un cervello alla volta, osservando come i neuroni si attivano quando una persona legge determinate parole o vede determinate immagini, o è impegnato, ad esempio, in un videogioco.
Ma noi siamo animali sociali, o ‘politici’ secondo la definizione di Platone, a sottolineare la tendenza dell’uomo, per sua natura, ad una sorta di ‘sincronizzazione sociale’, cioè ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società, seguendo il bisogno di confronto e di relazione.
Da qui l’esigenza di capire cosa succede a livello cerebrale quando gli individui interagiscono fra di loro. E così, neuroscienziati come Read Montague hanno cominciato a mettere a punto delle tecnologie per studiare più cervelli alla volta, e con l’ausilio di nuovi paradigmi sperimentali e varie tecniche, che si sono via via perfezionate – come la fMRI (risonanza magnetica funzionale), la EEG (elettroencefalografia) e la fNIRS (spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso) – hanno dato il via alla neuroscienza collettiva, come la chiamano alcuni professionisti.
Scoprendo, appunto, che quando le persone conversano o condividono un’esperienza, le loro onde cerebrali si sincronizzano. I neuroni in punti corrispondenti dei diversi cervelli si attivano nello stesso momento e allo stesso ritmo, creando schemi corrispondenti, come ballerini che si muovono insieme durante determinate attività cognitive.
Questa risonanza tra le menti può avvenire, in modo più o meno marcato, in vari contesti. A scuola ad esempio, quando gli studenti sono impegnati con l’insegnante, i loro schemi di elaborazione cerebrale iniziano ad allinearsi con quelli dell’insegnante stesso e, un maggiore allineamento, può significare un migliore apprendimento.

In generale, quando diverse persone sono impegnate in un compito comune, le loro onde cerebrali seguono schemi tra loro molto simili, come se fossero sincronizzate.
O ancora, durante l’esecuzione di un brano musicale, le onde neurali in alcune regioni cerebrali di chi ascolta corrispondono a quelle dell’esecutore: maggiore è la sincronia, maggiore è il divertimento.
È il caso di rapporti tra amici intimi rispetto ai conoscenti più lontani, e ancor più nelle coppie affiatate, che presentano gradi di sincronia cerebrale più elevati rispetto alle coppie non romantiche. L’entità della sincronia indica la forza di una relazione, mentre gli schemi delle onde cerebrali rivelano una buona sovrapposizione tra amici stretti, tra partner o tra un bravo insegnante e i suoi studenti.
E non si tratta solo della coerenza tra i cervelli che si verifica a seguito di un’esperienza condivisa, o semplicemente quando stiamo sentendo o vedendo la stessa cosa di qualcun altro.
Quanto le recenti ricerche stanno rivelando va infatti ben oltre i precedenti studi sui cosiddetti neuroni specchio, le cellule scoperte negli anni ‘80 da Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma, che ci consentono di simulare nel nostro cervello quello che gli altri fanno (quando ti guardo lanciare una palla, nel mio cervello si attiva una serie di neuroni specchio che si attiverebbero anche se stessi facendo la stessa cosa), e che ci permettono di provare empatia nei confronti delle persone che ci circondano, di metterci nei panni dell’altro, comprendere le sue intenzioni, dare un significato al suo comportamento, condividere emozioni e sensazioni.  

“Quando le persone non interagiscono socialmente, le loro onde cerebrali sono molto differenti. Ma quando pensano, sentono e agiscono in risposta ad altre persone, gli schemi di attività del loro cervello si allineano. I neuroni di cervelli differenti scaricano simultaneamente e, con il perdurare dell’interazione tra due persone, sia le tempistiche sia la sede dell’attività cerebrale diventano sempre più simili tra di loro”. Così la giornalista scientifica Lidya Denworth in un articolo pubblicato nel luglio 2023 sulla rivista Scientific American e pubblicato poi in italiano su Le Scienze in cui dà conto delle ultime ricerche in questo campo:

“I ricercatori stanno scoprendo la sincronia negli esseri umani e in altre specie e stanno creando la mappa della sua coreografia - il suo ritmo, i suoi tempi e le sue ondulazioni - per capire meglio quali benefici può darci. Stanno trovando prove del fatto che la sincronia tra i cervelli prepara le persone all’interazione e iniziano a interpretarlo come un marcatore delle relazioni tra persone. Dato che le esperienze di sincronizzazione sono spesso piacevoli, i ricercatori sospettano che questo fenomeno sia benefico: ci aiuta a interagire e potrebbe aver facilitato l’evoluzione della socialità. Questo nuovo tipo di ricerca sul cervello potrebbe anche spiegare perché non sempre “scattiamo” con qualcuno o perché l’isolamento sociale è così dannoso per la salute fisica e mentale”.

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A fronte di queste ‘entusiasmanti’ prospettive, il dicembre scorso l’autrice dell’articolo ha deciso di farsi arruolare nello studio pionieristico della neuroscienziata di Dartmouth Thalia Wheatley: sdraiata nel tubo di una macchina per la risonanza magnetica funzionale (fMRI) dell’Università di Harvard era in contatto via Internet con un ricercatore a sua volta sdraiato in una fMRI presso il laboratorio di neuroscienze sociali al Dartmouth College, a 130 miglia di distanza. Il loro compito era inizialmente quello di raccontare insieme una storia a turni alterni di 30 secondi ciascuno. Poi ognuno doveva raccontare una propria storia e infine entrambi dovevano raccontare nuovamente le tre storie: la loro creazione congiunta e le due inventate separatamente. Nel tentativo di vedere come due cervelli, insieme, cambiano quando interagiscono e come potrebbero persino creare qualcosa di nuovo.
I dati generati da questo esperimento condotto su molte coppie sono voluminosi e ci vorrà tempo perché vengano pienamente analizzati, ma le prove preliminari dello studio mostrano la sincronia tra i cervelli che interagiscono e, cosa ancora più interessante, che le correlazioni in alcune regioni cerebrali sono maggiori tra le persone mentre raccontano una storia comune rispetto alle storie indipendenti, in particolare nella corteccia parietale.
Nel loro insieme, scrive la Denworth, questi risultati rappresentano un modo avvincente per capire come il nostro cervello faciliti l’interazione sociale, così fondamentale per la vita umana. Senza la sincronia e le forme di connessione più profonde che si trovano al di là di essa, potremmo essere maggiormente a rischio di instabilità mentale e di problemi di salute fisica. Grazie alla sincronia e ad altri livelli di interazione neurale, gli esseri umani insegnano e imparano, creano amicizie e storie d’amore, collaborano e conversano. Siamo spinti a connetterci e la sincronia è un modo in cui il nostro cervello ci aiuta a farlo.
Per stabilire le basi neurali dei cervelli che interagiscono, i neuroscienziati si stanno rivolgendo anche ad altre specie, in cui possono indagare a livelli più profondi di dettaglio neurobiologico rispetto agli esseri umani. Studi come quelli condotti nel laboratorio di Michael Yartsev all’Università della California, Berkeley, che hanno dimostrato che i cervelli dei pipistrelli si sincronizzano proprio come quelli umani; o le ricerche del neurobiologo Weizhe Hong (professore presso il Department of Biological Chemistry and the Department of Neurobiology at UCLA David Geffen School of Medicine, Los Angeles) sui topi, tra i primi a studiare i cervelli interagenti neurone per neurone. E quello che hanno trovato ha rivelato una complessità ancora maggiore.
Perché ogni cervello è il frutto dell’interazione sociale. Ed è come se agisse come una particella collegata ad un’altra particella, tramite l’affascinante fenomeno dell’entanglement di cui ci parla la fisica quantistica (un fenomeno che si manifesta quando due particelle sono intrinsecamente collegate e questa unione ha effetti sul sistema fisico: qualsiasi azione o misura sulla prima ha un effetto istantaneo anche sulla seconda, e viceversa, anche se si trovano a distanza).
Ed è quanto afferma anche la mistica indiana descrivendo il fenomeno detto shaktipat: può esserci comunicazione a distanza tra due oggetti, particelle, cervelli eccetera, senza utilizzare nessuno dei canali conosciuti.
Nel profondo della nostra architettura, delle nostre cellule, siamo costruiti per stare insieme.

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