Voler entrare e fare un po’ di ordine nel mondo della pizza è una faccenda complicata. Napoletana, romana, al padellino e addirittura “contemporanea”, sono solo alcuni degli stili di pizza riconosciuti oggi dagli esperti e addetti ai lavori.
Abbiamo chiesto a Marlena Buscemi, gastronoma, educatrice e attenta osservatrice del mondo della pizza, di delineare una sorta di “mappa” e, lei, vulcanica e amante della psicologia qual è, ne ha fatto anche un affare di personalità. Pronti a giocare con noi? Dimmi quale preferisci e ti dirò chi sei...
Voler entrare e fare un po’ di ordine nel mondo della pizza è una faccenda complicata.
Quasi come entrare nella mente visionaria di un creativo con qualche millennio di storie, esperimenti e voli pindarici da raccontare e - come se non bastasse - un bagaglio cultural-gastronomico ricco di souvenir e gingilli che ha raccattato, viaggiando in lungo e in largo per il pianeta.
Con salomonica probabilità questo è il motivo principale per cui l’UNESCO ha trovato più sensato riconoscere all’arte del pizzaiuolo napoletano, invece che alla stessa pizza, un valore prezioso e utile per il patrimonio culturale dell’umanità, da proteggere dalle intemperie del tempo e delle mode.
La pizza: è vero che quella più buona è al Sud d’Italia?
Nonostante la pizza napoletana rappresenti senza grandi dubbi la voce più conosciuta e autorevole di questo mondo, non va escluso che possano intervenire a dire la propria anche altre espressioni e declinazioni di pizza, in Italia così come nel resto mondo.
In effetti, se fino a qualche anno fa era legittimo pensare che una buona pizza si potesse mangiare solo ed esclusivamente sotto il cielo del Belpaese, meglio ancora se con vista sul Golfo di Napoli, oggi esso risulta essere un paradigma stantio e poco aderente alla realtà: sebbene mangiare una bella pizza tra i vicoli della città partenopea resti ancora un’esperienza unica e affascinante, oggi si può partire con molta più serenità per qualsiasi angolo del planisfero, o quasi, senza mettere in valigia la nostalgia di una pizza ben fatta.
Il panorama che si può scorgere è sempre più ricco e variegato, pertanto, una bussola culinaria diventa uno strumento utile per sapersi orientare e andare nella direzione più affine ai propri gusti e desideri.
In questo caso metteremo da parte farine, impasti, lieviti e rinfreschi per dare voce e spazio alle più basilari preferenze, dettate dai sensi ed eventualmente dalle situazioni, che ci portano a scegliere un tipo di pizza rispetto ad un altro.
I segreti per realizzare la pizza perfetta
Alessandro Ferraro 17.01.2023, 19:19
1. La pizza napoletana, per chi ama i sapori più confortevoli
Partiamo da chi ama le consistenze più soffici, a cui è consigliabile dirigersi verso lo stile napoletano, dove sia il cornicione che la parte centrale, per mera e storica vocazione, oppongono una garbata resistenza al morso. Anzi, tale caratteristica permette una migliore fusione di sapori tra pasta e condimento, redendo la masticata piacevole per tutta la sua durata: il gusto risultante sarà inequivocabilmente uno, netto, senza spigoli o sapori prevaricanti. Per quanto possa sembrarlo, un risultato di questo genere non è affatto semplice: ottenere una sintesi bilanciata tra aromi e consistenze in così pochi centimetri quadrati, richiede una grande abilità, a partire dalla selezione e preparazione degli ingredienti fino al loro dosaggio sul disco e alla loro gestione in cottura, responsabile di molteplici trasformazioni sia fisiche che chimiche che avvengono ad altissima temperatura (430-480° C) nel giro di 2 o 3 minuti.
Lo stile napoletano è confortevole con una punta di irriverenza, consigliabile da degustare alla fine di una giornata difficile, meritevole di calde coccole e di parole piene di sole; ma si adatta anche a rendere indimenticabili quelle già perfette, dove non si vuole correre il rischio che niente e nessuno possa rovinarle!
La pizza napoletana contemporanea di Diego Vitagliano: la pizza Margherita.
2. La pizza romana, per i più audaci, tra tonda, alla pala, al taglio e pinsa
Per chi preferisce invece morsi più audaci e attivi, è meglio andare verso lo stile romano, in cui la scelta può declinarsi su ben quattro diverse opzioni:
- la scrocchiarella tonda sottile e con cornicione appena accennato;
La pizza romana tonda di Mirko Rizzo: fiori di zucchina e alici.
- la scrocchierella alla pala, figlia dei fornai, alveolata, condita e opulenta come un banchetto dell’Impero Romano ai suoi massimi splendori, di forma rettangolare lunga anche 1 metro per 30 centimetri di larghezza, cotta ad altissime temperature anche in forno a legna;
La Pala Rossa e Crudo di Massimiliano Prete: pomodorino di collina del Vesuvio, bufala DOP, datterino confit, capperi di Pantelleria, olive di Taggia, emulsione al basilico, Crudo di Parma 24 mesi DOP Riserva, stracciatella, erbe aromatiche di stagione.
- quella al taglio (autentica pizza in teglia alla romana), rettangolare, cotta in teglie di dimensione 60x40 centimetri, con uno spessore tra i 15 e 30 millimetri, leggermente croccante all’assaggio grazie all’eccellente alveolatura dovuta alle lunghe lievitazioni;
- o la più moderna pinsa, frutto dell’ibridazione delle prime due, di forma ovale allungata, sempre scrocchiarella, ma più moderata nell’ostentazione dei toni, dei modi e dei sapori: è la pizza che ha viaggiato, ha modificato il suo look , ma non la sua essenza.
3. La pizza al padellino, per le personalità discrete
Per le personalità più discrete e sornione, è consigliabile altresì una pizza al padellino: consistente e al contempo sobria, piccola e informale solo in apparenza, insospettabilmente cosmopolita, nasconde un carattere ben delineato, nonostante abbia il fascino degli incompresi, o meglio, dei fraintesi.
Lo stile del padellino racchiude in sé il mistero delle sue origini, non di certo autoctone, per quanto qualche infondata diceria cerchi di rivendicarne l’avvenuta invenzione ai piedi delle Alpi: è troppo rossa per essere frutto della creatività gastronomica piemontese, tanto meno di quella piemontese di città, che vede nel pomodoro più una nota cromatica che aromatica, più un decoro che un condimento. Decisamente più plausibile che sia il risultato di una miscellanea di eventi storici, dovuta principalmente alla forte immigrazione dal Sud Italia verso il Nord, in cerca di fortuna e lavoro, avvenuta a metà degli anni ’60, con la mediazione gastronomica delle comunità meridionali, in particolare quella sarda che cominciò a cuocere anche gli impasti lievitati nei forni delle proprie trattorie e nelle teglie destinate alle carni, ai pani e alla fainè (la versione sassarese della farinata, a base di farina di ceci). Inizialmente si preparavano focacce bianche, le stesse, poi, vennero condite con vari ingredienti, tra cui anche il pomodoro, fino a diventare sempre più simile alla pizza che conosciamo oggi.
Amata dai torinesi per le sue dimensioni morigerate che ben si adattano alle abitudini sabaude che, per etichetta, oscillano tra austerità e piacere, si può mangiare anche a pranzo, anche da soli, senza provocare depressione o imbarazzo: è la pizza che si presenta in formato monoporzione più di tutte le altre, pur avendo più olio, meno alveoli e una consistenza più tenace. Insomma, sembra leggera, senza esserlo davvero.
La pizza al padellino è il punto d’incontro ed equilibrio più pacifico tra il Regno di Napoli, di Sardegna e delle Due Sicilie, il punto esatto dove ogni dichiarazione di guerra al mondo si tramuta in pace, soprattutto nei confronti di sé stessi…
Pizza al padellino “L’Acciuga” di Massimiliano Prete: pomodorino di collina del Vesuvio, stracciatella, origano di Pantelleria, acciughe del Mar Cantabrico, emulsione al basilico
4. La pizza contemporanea: ultima nata tra le pizze in ordine di tempo, per gli amanti della condivisione
Per soddisfare i palati di coloro che fanno della destrutturazione una ragione di vita più che di palato, arriva in soccorso l’ultima nata e riconosciuta nella grande allargata famiglia delle pizze: la contemporanea, conosciuta anche come pizza gourmet o da degustazione. La più erudita, la meno istintiva: a ogni boccone provoca un’emozione, una suggestione, un indizio sensoriale; gioca con le consistenze ora plastiche ora elastiche, gioca con le note del jazz, del rock e anche del punk, se è il caso, gioca con la medesima disinvoltura con gli abbinamenti classici e con quelli più insoliti, gioca con i colori e le sensazioni, provoca ricordi del passato e desideri sul futuro: separa, unisce e stupisce. Talvolta conquista, altre spiazza. Può risultare più arrogante che indigesta.
È vocata per la sua presentazione a spicchi, alla condivisione: mangiarla da soli sarebbe un peccato, nonchè impegnativo, perché oltre agli ingredienti, che ci tiene che vengano colti uno ad uno in una sequenza analitica, destruttura anche le opinioni e le categorie pregresse.
La Scampi a a base croccante con farina di mais e semi di girasole di Massimiliano Prete: scampi, stracciatella, sedano fresco, salsa al mango.
Ovunque vi porti la vostra scelta, voi godetene e fate in modo che ogni boccone ritrovi quel piacere che andate cercando, quella tranquillità che solo i saggi sanno infondere, quel sonno serafico e riposante che solo il cibo fatto per bene, con mani, testa e cuore sanno regalare.
Se non scarterete né ripiangerete nulla di quella pizza, nessuna sua parte, condita e non, ecco allora avete mangiato una pizza degna del suo nome, di tutti i capitoli della sua prodigiosa evoluzione, di ogni grammo della sua ammirevole storia.
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