Il digiuno è l’astensione dal cibo. Ma per chi lo pratica per scelta (per esempio perché la Chiesa cattolica lo prescrive ancora per il Venerdì santo e il Mercoledì delle ceneri) il non mangiare è molto, molto di più. In Svizzera quando si parla di rinuncia agli alimenti il punto di riferimento è Niklaus Brantschen, padre gesuita, maestro zen e fondatore dell'istituto Lassalle a Bad Schönbrunn nel canton Zugo.
Tutti gli anni, anche ora che ne ha 78, Niklaus Brantschen smette di cibarsi per due settimane, ma, spiega alla RSI, digiunare non vuol dire non mangiare. “Vuol dire che non mi nutro come abitualmente dall'esterno, ma dall'interno, grazie alle riserve di proteine e grassi - ne abbiamo tutti a sufficienza! Questo è il processo fisiologico. A ciò bisogna aggiungere quello ideale, sociale, perché bisogna dare un significato al digiuno. Grazie all'alimentazione dall'interno divento più tranquillo, gestisco diversamente le energie e questo favorisce la meditazione. Il digiuno è un processo che mi apre al mondo, perché dopo essermi raccolto in me stesso, cambio il mio atteggiamento con le cose e le persone, e mi apro ad esperienze spirituali”.
E digiunare, sottolinea, non è la stessa cosa di mettersi a dieta per prepararsi alla stagione balneare. “Se la dieta è solo per dimagrire, per diventare più belli, è egoistica – rileva Niklaus Brantschen -. Se invece lo faccio per la mia salute, per non abbuffarmi, non è digiuno ma è comunque un lodevole gesto. I giapponesi dicono: dovremmo mangiare solo tre quarti di quel che di solito consumiamo. Tre quarti per l'organismo, e un quarto per il dottore. La medicina vive in buona parte dalla nostra alimentazione eccessiva e malsana”.
L'interesse della società per il digiuno sembra crescere. Come si spiega il fenomeno qualcuno che ne ha fatto il suo modo di vita? “Perché i tempi sono maturi. Quella occidentale è una società sazia. Mentre al mondo ci sono 800 milioni di persone che soffrono la fame. E la gente si accorge che rinunciare temporaneamente al cibo è un esercizio benefico. Rinunciare a qualcosa, significa condividere. Chiaro: il pane che non mangio, non finisce sul tavolo dei più poveri. Ma perlomeno si comincia a condividere il destino di altri. Il senso di solidarietà cresce. Poi bisogna dire che la medicina ha in parte scoperto il digiuno, quindi è aumentata la sensibilità, molta più gente è informata. E questo va a sommarsi, come detto, ad una società sazia che si accorge che avere meno è meglio”.
Diem/RG
RG 18.30 del 25.03.16: l'intervista a Niklaus Brantschen di Alan Crameri
RSI Info 25.03.2016, 19:46
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