Era tra gli eventi più attesi e chiacchierati del Festival di Cannes e non ha deluso le aspettative. Il documentario sulla tragica breve vita di Amy Winehouse è arrivato nella proiezione di mezzanotte del sabato festivaliero e ha le carte in regola per diventare un punto di riferimento per comprendere splendori e miserie di quella che probabilmente è la più grande cantante di musica "leggera" del primo scorcio di nuovo millennio.
Il documentario Amy è firmato dal britannico di origine indiana Asif Kapadia, abbonato alle grandi parabole tragiche visto che nel 2010 ha realizzato l'acclamato Senna. Nonostante la contrarietà dei genitori della Winehouse, che compaiono ma non hanno gradito l'esito, porta tante chiavi di lettura. Quella legata alla nuova civiltà delle immagini instant, con riprese della giovanissima Amy fatte con telefonini e affini dalle amiche, in situazioni quotidiane. Quella del fuoco sacro musicale della Amy sedicenne cultrice di jazz e refrattaria al pop. Quella della Amy piegata da bulimia, alcol, stupefacenti, che cade e si rialza finché cade una volta di troppo. Quella della diva al crepuscolo che confessa al bodyguard di sognare di ridare indietro canzoni e fama pur di poter tornare ordinaria e passare inosservata. Quella dell'artista di talento unico, che Tony Bennett definisce degna di Ella Fitzgerald e Billie Holiday.
La locandina di Amy
Inutile girarci intorno. Siamo di fronte a una di quelle persone toccate dall'eccezionalità in tutti i sensi e il documentario ha il merito di riuscire a trasmettere il messaggio senza declamarlo, senza bisogno di nascondere né strombazzare i lati oscuri, veri compagni di sventura di una ragazza che cantava nei suoi pezzi il suo ritorno al "black".
Marco Zucchi
Dal TG20:
Cannes, ricordando Amy
Telegiornale 17.05.2015, 20:00
Il servizio nel Radiogiornale su Amy Winehouse
RSI Info 18.05.2015, 01:11
Contenuto audio
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