È lecito esporre i resti umani in un museo? A sollevare l’interrogativo, vagamente macabro, non è l’avvicinarsi di Halloween o l’imminente tributo cimiteriale ai defunti. La domanda si impone dopo che, negli scorsi giorni, il Museo Americano di Storia Naturale di New York, uno dei più illustri al mondo, ha annunciato che toglierà dalle vetrine la sua vasta collezione di ossa umane, circa 12’000 pezzi, diventata inopportuna per più di un motivo. Alcuni reperti verranno restituiti ai discendenti, o almeno si cercherà di trovarli, i restanti finiranno nei depositi.
A spiegare le ragioni della scelta è stato Sean Decatur, il presidente del museo: “Nulla di quanto esposto è così essenziale agli scopi e alla narrativa dell’esposizione da controbilanciare i dilemmi etici presentati dal fatto che i resti umani sono esposti accanto e sullo stesso piano di oggetti”. Dilemmi etici rafforzati dal fatto che oltre duemila resti appartengono a nativi americani e avrebbero dovuto, in base a una legge vecchia di trent’anni, essere restituiti ai discendenti. Altrettanto disturbante appare oggi l’esposizione degli scheletri di cinque afro-americani trovati nel 1903 in un cimitero per schiavi di Manhattan.
“Centrale se esiste un valore espositivo”
In ogni caso a seppellire il vecchio approccio espositivo non è un’istituzione qualsiasi. “Il Museo Americano di Storia Naturale è uno dei maggiori al mondo e fa parte di un’istituzione ancora più grande, lo Smithsonian. Un vero colosso, con enormi collezioni di oggetti e opere d’arte etnologici, che non prende sicuramente decisioni in modo superficiale”, commenta Francesco Paolo Campione, docente accademico di Antropologia culturale e direttore del Museo delle Culture a Lugano.
Occorre dire che questo è solo un capitolo, l’ultimo, di una storia iniziata almeno quindici anni fa. “È da allora - spiega Campione - che molto ci si è interrogati sul tema, sia a livello internazionale, sia di musei etnologici svizzeri. La questione non è tanto morale, ma piuttosto ci si è chiesti qual è il valore espositivo del mettere in mostra dei resti umani. Oggi gli studi di antropologia fisica si muovono quasi tutti sul tema della genetica, del DNA, per individuare ciò che ha portato alla distribuzione delle popolazioni nel mondo, agli insediamenti…”.
La collezione di ossa che a New York finirà nei magazzini, in altre parole, secondo l’esperto di antropologia, incarna “una museologia che ha perduto la sua ragione d’essere. Certamente esporre resti umani per il solo fatto che sono resti umani potrebbe essere messo nei depositi ideologici della storia. Condivido anche io la decisione di non puntare su oggetti che si prestano oltretutto a qualche morbosità”.
L’eccezione? I corpi come opera d’arte
Una pietra tombale su tutti i resti umani nei musei? Assolutamente no. “Ben diversa è la questione che riguarda quelle parti del corpo umano che le stesse culture hanno considerato come delle opere d’arte. Penso alle teste rimodellate, alle teste scolpite o in miniatura, ai femori utilizzati come flauti…”. Ce n’è una vasta gamma, continua l’esperto: “Laddove esistono opere di questo genere, che sono in tutto e per tutto opere d’arte, e come tali erano considerate dalle culture che le hanno prodotte, la loro rimozione sarebbe davvero come una forzatura e sarei contrario. Il rispetto che deve prevalere è quello per l’ideologia che le ha concepite”. Senza dimenticare, aggiunge, che tali opere, conservate a fini magico-religiosi o artistici, costituiscono un documento collegato alla storia del mondo.
A dimostrazione che il tema dell’esposizione dei resti umani è tutt’altro che monolitico il nostro interlocutore evidenzia un terzo livello di oggetti: “Mi riferisco a quelle opere d’arte, o più in generale oggetti realizzati con resti umani che già al momento del loro concepimento altro non erano che macabri souvenir di un’alterità venduta ai turisti. Penso, per esempio, ai crani dei maori con la pelle tatuata. Difficile farli passare per un’opera d’arte locale, quando in realtà erano venduti per un interesse morboso da parte degli occidentali che li collezionavano. In quel caso potrebbero benissimo essere tenuti nei depositi a disposizione di chi li vuole studiare”.
La parte nascosta delle mummie egizie
Dalle mummie egizie a Lombroso
Che il problema tocchi anche i reperti più antichi è dimostrato dalla segnaletica specifica, sviluppata dal Museo Egizio di Torino, che avverte della presenza in vetrina di resti umani. Con successo, verrebbe da dire, visto che oltre 70% degli interpellati in un sondaggio ha giudicato l’esposizione adeguata, anche se un 13% auspicherebbe per questi resti un’area separata. “La mummia egizia - osserva tuttavia Campione - è conservata in un sarcofago e quindi ci pone pochi problemi. Se la si tiene all’interno di quella che è un’opera d’arte scolpita e dipinta, non c’è nulla da obiettare. Esporre invece la mummia per la mummia, credo che rientri nella morbosità eccessiva rispetto alla nostra sensibilità contemporanea. In quel caso si potrebbe benissimo conservarla nei depositi a disposizione di chi ha un interesse scientifico”. Dopodiché anche qui vi sono eccezioni: “Diverso è il caso della mummia peruviana”, rileva l’esperto. Il cosiddetto “fardo”, l’involucro funerario, “mostra una parte scheletrica molto visibile, ma è ornato con maschere o paramenti cerimoniali. Si potrebbero forse esporre questi ultimi e lasciare riposare il fardo in pace. Ma è un caso limite”.
Visitatori nel Museo Lombroso di Torino
Quarto e ultimo livello delle riflessioni sul tema dei resti umani esposti è quello che Campione definisce “il museo nel museo”. L’esempio più noto, ma ne esistono anche in altre parti del mondo, è quello del Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso, sempre a Torino. Nel 2009 il museo dedicato al fondatore dell’antropologia criminale è stato riallestito in modo tale da consentire al visitatore di capire gli errori che portarono alla formulazione di una scienza risultata errata, quella dell’atavismo criminale. “Con i suoi oggetti anatomici questo museo non difende più le idee di Lombroso, ma ne parla in modo critico e contestualizzato. Idee che non dimentichiamo pervasero profondamente la cultura positivista del tempo, tanto che oggi c’è un museo”.
La storia dell’umanità, conclude Campione, non va cancellata. La memoria va mantenuta e occorre semplicemente adattare il sistema delle esposizioni alla sensibilità del luogo, ma senza censure. “L’aspetto su cui puntare l’attenzione è, secondo me, quello dell’opera d’arte fatta con parti umane. La censura, in quel caso, sarebbe sconveniente”.
L’uomo sotto l’olmo
Laser 12.02.2024, 09:00
Contenuto audio