L’incontro con un essere potenzialmente spaventoso è un elemento ricorrente nel cinema di Steven Spielberg: spesso si tratta di presenze terrorifiche (Duel, Lo squalo, Jurassic Park), altrove si rivelano ottimi amici dell’uomo.
Il grande gigante gentile appartiene a questa seconda categoria che ha in E.T. il suo capostipite. E non solo: il romanzo omonimo di Roald Dahl da cui Il GGG è tratto esce nel 1982, anno in cui anche E.T. è nelle sale.
E se la storia del dolce e indifeso extraterrestre ha conquistato il mondo con il suo “telefono-casa”, c’è da scommettere che anche quella del gigante buono replicherà il successo che già ebbe il libro.
Siamo in un’orfanotrofio londinese negli anni Ottanta, una bambina (interpretata dall’attrice inglese quattordicenne Ruby Barnhill) che soffre di insonnia vede dalla finestra un gigante che, accortosi di essere stato scoperto, la porta nel regno dove vive con altri simili. La ragazzina all’inizio è spaventata, ma poi scopre la meraviglia di questo essere che cattura i sogni alla fonte da cui nascono e li regala alle persone bisognose. Nonostante GGG voglia riportarla a casa perché gli altri giganti tentano di mangiarla, lei desidera restare con lui. Fino ad un finale ancora più incredibile che coinvolge persino la regina Elisabetta.
Il tutto è raccontato con un linguaggio cinematografico che mescola attori veri a personaggi virtuali, ambienti e paesaggi esistenti (le riprese si sono svolte soprattutto in Canada) con una serie di effetti speciali creati digitalmente. Il risultato regala allo spettatore uno stupore continuo attraverso immagini che cambiano sempre il punto di vista: da grande a piccolo, da sopra a sotto, da dentro a fuori, dal buio della notte alle mille luci dei sogni che volano.
Protagonista umana e protagonista digitale in posa
I messaggi sono semplici ma forti e significativi – come l’accettazione della diversità e l’importanza di realizzare i propri sogni - e rivolti non solo ai più piccoli. Un po’ come se Spielberg ancora una volta invitasse il suo pubblico a non perdere la capacità di guardare attraverso gli occhi di un bambino.
Una curiosità: la sceneggiatura ha mantenuto lo strambo e fantasioso modo di parlare del gigante dal testo di Dahl, tanto che alla fine del pressbook, che i giornalisti presenti a Cannes per la prima mondiale del film hanno ricevuto, è riportato un vocabolario per la comprensione dei termini.
Francesca Felletti
Il GGG di Spielberg a Cannes
Telegiornale 15.05.2016, 20:01
www.rsi.ch/cannes2016