Paolo Cognetti sorride dietro i baffi e la barba fulvi e si schernisce. "Mi hanno cercato per l’orsa del Trentino, per i due corpi ritrovati su un ghiacciaio in Vallese dopo 75 anni… e ogni tanto mi è venuta la tentazione di rispondere che no, sul tal tema non ne pensavo nulla ma per ora mi godo questo momento. Senza timori". L’etichetta di "scrittore della montagna" non fa a pugni con la sua camicia a quadri e per ora non gli va stretta. "Per anni sono stato lo scrittore delle donne per aver scritto "Sofia veste sempre di nero", chissà cosa sarò in futuro".
Dopo il successo de Le otto montagne (tradotto in oltre 40 paesi, oggi Cognetti è in Olanda) lo scorso fine settimana il vincitore del Premio Strega 2017 era in Val Bavona dove gli è stata consegnata la "Targa Foroglio", premio internazionale della cultura alpina. Un orgoglio essere premiato dove soleva venire Mario Rigoni Stern, anche se ogni paragone lo imbarazza. "Io sono nato in città - a Milano -, in montagna ci andavo da bambino, ma poi l’ho riscoperta solo a trent’anni. Sono un ritornante". Quando gli si fa notare che la montagna è di moda, però, Cognetti risponde così:
Intervista a Paolo Cognetti di Massimiliano Herber (28.08.2017)
rsi 28.08.2017, 20:29
Non è Mauro Corona, non è il Reinhold Messner della letteratura italiana contemporanea. "La montagna - dice Cognetti - l’ho scoperta attraverso la letteratura, grazie a Mark Twain, Jack London e la letteratura americana. E quando da piccolo vi andavo in vacanza desideravo essere come Tom Sawyer alla ricerca del suo Huckelberry Finn". Nella montagna descritta da questo 39enne scrittore, milanese d’origine e valdostano d’adozione, più della retorica di genere vi sono la ruvidezza e gli affetti virili di Hemingway, la tenera amicizia degli opposti alla Narciso e Boccadoro di Hesse, la roca voglia di rottura cantata da Eddie Vedder in Into the wild.
Con i soldi del Premio Strega Cognetti vorrebbe costruire un "rifugio culturale a duemila metri", ad Estoul in Val d’Ayas, la località della Valle d’Aosta dove vive da una decina di anni. I personaggi de "Le otto montagne" sono autobiografici e lassù ha incontrato quel Bruno del romanzo che da bambino per lui era solo un "amico immaginario". "Si chiama Remigio e come Bruno ha la concretezza e il talento di saper costruire, ha deciso di dedicarsi all’ideale ("farò il montanaro") e il suo sacrificio per me è quello di un santo".
La montagna per lui è stata il luogo della riconciliazione e del ricordo, ma quando gli raccontiamo di quanto è avvenuto a Bondo in Val Bregaglia, del Pizzo Cengalo franato e delle otto vite inghiottite dalla slavina di detriti il suo volto per un istante si incupisce. E la sua risposta non è né quella immaginata di noi escursionisti di città, né - tantomeno - rassicurante. Eccola:
Paolo Cognetti su quanto avvenuto in Val Bregaglia
rsi 28.08.2017, 20:29
E ora? "Dopo un libro molto maschile - il rapporto padre-figlio e l’amicizia tra due ragazzi - vorrei scrivere un romanzo che abbia come protagonista una donna. Ne ho conosciute diverse in montagna… da giovane, ammette sorridendo, ho iniziato a scrivere per vincere la timidezza e riuscire a comunicare con le ragazze: mi piacerebbe ora tornare a scrivere dell’universo femminile. Chi ha amato "Le otto montagne" ha conosciuto la caparbia e selvatica Lara o la figura della madre di Pietro, quasi un omaggio all’Ave Maria di Segantini, paziente attende, desideroso di incamminarsi su un altro sentiero al passo scandito da Paolo Cognetti.
Massimiliano Herber
Le montagne del fenomeno editoriale Cognetti
Il Quotidiano 28.08.2017, 19:00