Reportage

Giovani svizzeri portano avanti la ricerca sui razzi

Il settore spaziale si sta orientando verso i razzi riutilizzabili. Dei progetti studenteschi svizzeri danno slancio a questa tendenza

  • 6 ottobre, 06:48
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Per motivi di sicurezza, è ancora collegato a un cavo. Ma il razzo "Colibri" può già atterrare autonomamente nel luogo da dove è decollato

  • Gruyère Space Program
Di: Christian Raaflaub (swissinfo.ch)/sf 

Audrey Vorburger svolge ricerche sugli strumenti spaziali e sul nostro sistema solare. I razzi fanno parte del lavoro quotidiano per l’astrofisica e planetologa dell’Università di Berna.

“La Svizzera è nota per la sua ingegneria di alta precisione e per la sua capacità di sviluppare strumenti scientifici complessi”, afferma la ricercatrice. “Un programma spaziale evidenzierebbe ed espanderebbe ulteriormente questi punti di forza”.

“L’accesso allo spazio non è più appannaggio esclusivo delle grandi nazioni spaziali; i progressi tecnologici e le capacità di lancio accessibili a livello internazionale fanno sì che anche i Paesi più piccoli possano svolgere un ruolo significativo”, aggiunge.

I progetti studenteschi, che contano diversi esempi in Svizzera, potrebbero essere rilevanti nello sviluppo e nella promozione della tecnologia spaziale elvetica e nella formazione dei futuri specialisti e specialiste del settore. I giovani responsabili di due di questi progetti hanno accolto swissinfo.ch.

Il reportage di Michele Andina e Christian Raaflaub (swissinfo.ch)

Il razzo che può atterrare in verticale

Una cava di ghiaia nell’entroterra della regione della Gruyère. Sono da poco passate le quattro del pomeriggio. Una squadra di giovani è impegnata negli ultimi preparativi. Ogni mossa è studiata e preparata nei minimi particolari.

L’oggetto al centro dell’attenzione giace in un container su un banco di lavoro, dove si sta effettuando una piccola riparazione a una delle sue quattro gambe.

Dimensioni: 2,45 metri di altezza per 100 chili di peso. Nome: Colibri. Ciò che rende il razzo unico in tutta Europa è la possibilità di atterrare in sicurezza stando in piedi sulle sue gambe. Ma ci è voluto molto tempo per arrivare a questo traguardo.

Dietro al progetto “Gruyère Space Programme” (GSP) ci sono cinque giovani (quattro studenti e una studentessa) che si conoscono fin dalle scuole medie e che hanno percorso insieme la carriera accademica al Politecnico federale di Losanna (EPFL).

“Nessuno in Europa ha mai lanciato un razzo con un carico utile e l’ha fatto atterrare di nuovo in piedi”, dice la 25enne studentessa di robotica Julie Böhning, portavoce del team. “È fantastico aver raggiunto questo risultato insieme”.

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Julie Böhning, responsabile dei sistemi di sterzo, navigazione e controllo

  • Michele Andina/swissinfo.ch

Böhning e i suoi quattro compagni di corso si sono cimentati simili progetti per sei anni. Hanno tratto ispirazione dal progetto statunitense SpaceX e dal suo razzo capace di atterrare. Hanno sviluppato e costruito da soli Colibri, dalla A alla Z.

Nel container, il team ha assemblato tutte le singole parti del razzo su un banco di prova, in modo che potessero essere testate indipendentemente l’una dall’altra. Serbatoi, motore, elettronica, sensori. Negli anni, il gruppo è cresciuto fino a 15 persone.

Inizia il conto alla rovescia

Oggi nella cava di ghiaia ne sono presenti otto, tra cui i membri fondatori Jérémy Marciacq (26 anni) e Simon Both (25 anni). Stanno controllando vari flussi di dati su computer portatili. Dopo il test, li analizzeranno in dettaglio.

Il team ha rapidamente allestito un centro di controllo mobile a distanza di sicurezza. Il razzo viene rifornito di carburante e un piccolo drone compie un altro giro di ispezione intorno a Colibri. È troppo pericoloso avvicinarsi quando i serbatoi sono pieni.

Inizia il conto alla rovescia. “Cinque, quattro, tre, due, uno”. Poi un rumore e il razzo si alza di qualche metro in aria, come previsto. Oggi, al suo venticinquesimo test, deve virare leggermente fuori rotta per dimostrare che può tornare da solo alla piccola piattaforma di atterraggio, da dove è anche decollato.

A parte qualche piccolo problema, l’esito dell’esperimento è soddisfacente. L’obiettivo della giornata è stato raggiunto, dice Both. Era importante testare i nuovi algoritmi per l’atterraggio del razzo. Algoritmi che, ovviamente, gli studenti hanno programmato da soli.

Un test simile richiederebbe un’autorizzazione speciale in Svizzera. Tuttavia, poiché il razzo è collegato con un cavo al braccio di una gru e ha una funzione di arresto di emergenza, Colibri è legalmente considerato un oggetto a terra. Inoltre, il test deve svolgersi ad almeno 200 metri di distanza dall’edificio residenziale più vicino, distanza che in questo caso è più che rispettata.

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Test del razzo “Colibri” in una cava di ghiaia nei pressi di Gruyère

  • Gruyère Space Program

Claude Nicollier come mentore

Hanno costruito il razzo con materiali semplici ed economici. “I serbatoi di Colibri sono tubi provenienti da un cantiere che abbiamo modificato”, spiega Böhning. Il team si affida anche alla stampa 3D per sostituire alcune parti in tempi molto brevi senza dover attendere i fornitori.

Il gruppo fa tutto da solo. Naturalmente, questo non è possibile senza sponsor. Attualmente, contano 55 partner industriali. Tra questi, l’azienda che mette a disposizione gratuitamente parte della cava di ghiaia e la gru. Per poter utilizzare quest’ultima, Jéremy Marciacq ha dovuto completare una formazione.

La giovane squadra ha portato nel progetto un mentore di grande fama, Claude Nicollier, il primo astronauta svizzero. Inoltre, il loro status di studenti permette loro di contattare esperti ed esperte in tutto il mondo, felici di dedicare qualche ora per dare loro consigli, dice Böhning.

Ma qual è l’obiettivo del progetto? “Vogliamo dimostrare che anche in Europa siamo in grado di lanciare razzi e di riportarli a terra”, dice Böhning.

L’idea del paracadute

Un altro giorno, un altro luogo. Ci troviamo in un hangar dell’aeroporto militare di Dübendorf, nel cantone di Zurigo. È qui che l’aviazione svizzera ha avuto i suoi inizi. Oggi, alcuni degli hangar ospitano l’Innovation Park, dove si concretizzano diversi progetti studenteschi o di start-up.

Tra questi, il progetto spaziale ARIS, gestito da studenti e sostenuto dal Politecnico federale di Zurigo (ETHZ) e da altre università e istituti. Diversi razzi di varie dimensioni, risultati di progetti precedenti, sono in mostra allineati.

Il progetto in corso, “NICOLLIER”, è sostenuto da 40 -50 sponsor e porta il nome dell’astronauta svizzero. Claude Nicollier stesso ha partecipato online alla seconda revisione tecnica del razzo e ha dato un feedback al team, dice Felix Hattwig, il 21enne responsabile del progetto, che studia fisica all’ETHZ.

Anche in questo caso si vuole costruire un razzo riutilizzabile. Ha due paracadute incorporati, il cosiddetto guided-recovery-system.

Un piccolo paracadute frena il razzo non appena raggiunge il punto più alto della sua traiettoria, spiega lo studente di ingegneria meccanica Matteo Vass (20 anni) che dirige il team di recupero ed è quindi responsabile del sistema di frenata.

Il paracadute più grande, controllato da un sistema software autonomo, si dispiega a circa 800 metri dal suolo. È progettato per portare il razzo fino al punto di atterraggio.

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Felix Hattwig (a sinistra) e Matteo Vass sistemano l’elettronica per il controllo autonomo del paracadute.

  • Christian Raaflaub/swissinfo.ch

La squadra sta attualmente effettuando dei test di caduta. L’esercito fornisce il proprio supporto rilasciando il missile da un elicottero per i test di caduta e atterraggio. Naturalmente, questo non avviene al di sopra di aree popolate, ma in basi militari, ad esempio nel cantone di Glarona o nell’Oberland bernese.

Tuttavia, la primavera piovosa ha messo in difficoltà il progetto: solo due dei 13 test di caduta previsti hanno potuto essere effettuati. Ma nel video che i due responsabili ci mostrano la prova è riuscita e il razzo ha trovato il suo punto di atterraggio.

Controllo autonomo sempre più importante

“Questa è la nuova era dei viaggi spaziali, in cui non si tratta solo del razzo in sé, ma anche dei nuovi sistemi che lo circondano”, afferma Hattwig, “soprattutto il controllo autonomo. Ma il nostro razzo va oltre il recupero guidato”, aggiunge. “Stiamo anche cercando di realizzare innovazioni tecniche in altre aree”.

Ad esempio, nel campo delle schede informatiche, che sono intercambiabili nel razzo. O nei freni d’aria, settore che sta avanzando a passi da gigante.

I 43 membri attivi lavorano a questo progetto parallelamente ai loro studi e non ricevono né uno stipendio né crediti universitari. Ciò che li anima, quindi, è soprattutto la passione.

I due responsabili con cui abbiamo discusso sono affascinati dai viaggi nello spazio fin da bambini e ora non vedono l’ora di realizzare il loro sogno.

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Parte del razzo durante un test di caduta

  • ARIS

Il loro razzo non è mai stato lanciato, ma i precedenti progetti ARIS rappresentano una buona base. Il primo lancio è attualmente previsto per la fine di ottobre, dice Hattwig. L’obiettivo finale è quello di trasportare tre diversi carichi utili, cioè satelliti.

“Una buona base pratica”

“Quello che questi e altri studenti stanno realizzando merita grande rispetto”, scrive a swissinfo.ch la divisione Affari spaziali della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI).

I progetti svizzeri hanno “un grande successo” anche nel confronto internazionale e “costituiscono una buona base pratica per la formazione degli studenti, al fine di prepararli per i futuri compiti nel settore spaziale”, si legge. È “ovvio che l’equilibrio tra costi, riciclabilità e sostenibilità” continuerà certamente a essere una sfida per tutti coloro che lavorano nella ricerca spaziale e nelle agenzie spaziali in futuro.

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Space Hub, nuovo centro di ricerca spaziale

Telegiornale 29.09.2024, 20:00

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