Le pressioni sulle aziende ancora attive in Russia continuano e hanno indotto Renault ad annunciare la sospensione con effetto immediato della sua produzione in un impianto moscovita oltre che a rimettere in discussione la sua partecipazione ad AvtoVAZ, la filiale attraverso la quale ha venduto oltre 500'000 veicoli in Russia nel 2021 (del marchio Lada), facendone il suo secondo mercato dopo l'Europa. E anche Nestlé ha fatto un passo indietro, annunciando mercoledì sera un'ulteriore riduzione della sua offerta nel Paese dell'Europa orientale.
In mattinata la multinazionale con sede a Vevey aveva smentito di essere stata bersaglio di un attacco informatico, rivendicato da hacker vicini ad Anonymous e motivato proprio con l'accusa di continuare a fare affari in territorio russo. Qualche ora dopo in un breve comunicato ha fatto sapere di aver limitato la gamma dei prodotti in vendita: verranno mantenuti approvvigionamenti di cibi per bebé e alimenti medici, mentre spariranno dagli scaffali marchi noti come Nesquik e KitKat, oltre al caffè e al cibo per animali.
"L'obiettivo non è fare profitti", assicura Nestlé, che già l'11 marzo aveva annunciato la sospensione di importazioni ed esportazioni, dopo aver rinunciato agli investimenti e sospeso la pubblicità. Non era bastato, visto che gli appelli al boicottaggio si erano moltiplicati in rete e il colosso numero uno mondiale nell'alimentazione era stato citato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky quando si era rivolto alla folla durante una manifestazione sabato scorso a Berna.
Nestlé, che ha intanto inviato 550 tonnellate di aiuti in Ucraina e negli Stati vicini, dà lavoro nel Paese invaso a 5'800 persone e riesce ancora a consegnare i due terzi del volume di merci di prima del conflitto. Lo stabilimento di Kharkiv è tuttavia chiuso.