Si allarga a macchia d’olio lo scandalo che ha investito lunedì l’amministrazione Trump, dopo che si è scoperto che per errore è stato dato accesso a un giornalista del periodico “The Atlantic” al piano degli attacchi americani contro gli Houthi in Yemen e ai loro progressi in tempo reale.

USA: imbarazzo per la fuga di notizie
Telegiornale 25.03.2025, 20:00
Si tratta di una falla nella sicurezza che ha scosso fin nelle fondamenta la classe politica statunitense in maniera trasversale, anche se al momento i repubblicani stanno tentando di tutto per minimizzare la vicenda.

Signal leak: da fuga di notizie a scandalo politico
SEIDISERA 25.03.2025, 18:00
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La chat dei vertici dell’amministrazione Trump su un social pubblico
Nella chat, in parte resa pubblica dal caporedattore di The Atlantic, Jeffrey Goldberg, e in parte diffusa sui social media da Anonymous, sono coinvolti il vicepresidente J.D. Vance, il segretario alla Difesa Pete Hegseth, il segretario di Stato Marco Rubio, il capo della CIA John Ratcliffe e vari altri esponenti di spicco del “cerchio magico” attorno a Donald Trump. Proprio quest’ultimo ha dichiarato ai giornalisti di “non saperne nulla”, ma la sua portavoce si è affrettata ad assicurare che il presidente statunitense “continua ad avere la massima fiducia nella sua squadra di sicurezza nazionale, compreso il consigliere per la sicurezza nazionale, Mike Waltz”.
Waltz è infatti finito sulla graticola, poiché la chat con dati ipersensibili sugli attacchi in Yemen si era sviluppata su una piattaforma aperta come Signal e, appunto, in virtù del fatto che si è coinvolta anche una personalità esterna “rischiosa” come lo può essere un giornalista come Goldberg, il quale spiega che tutto è iniziato con un contatto l’11 marzo da parte di Mike Waltz, tramite messaggi postati sull’applicazione Signal.
Hegseth sminuisce il reporter ma è smentito anche dai repubblicani
Goldberg è stato attaccato duramente da uno dei protagonisti della conversazione online, il capo del Pentagono Pete Hegseth, il quale ha dichiarato ai giornalisti che si tratta “di un sedicente giornalista, ingannevole e altamente screditato”, pur sapendo che era stato già smentito dalla Casa Bianca, che ha confermato l’accaduto, alla pari dello speaker repubblicano alla Camera Mike Johnson.
Nella fattispecie, la Casa Bianca ha confermato che “al momento sembra che la catena di messaggi riportata nell’articolo sia autentica e stiamo indagando su come sia stato aggiunto per errore un numero”, stando a quanto ha dichiarato il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Brian Hughes.
Va inoltre rimarcato che il giornalista Jeff Goldberg ha avuto cautele che gli uomini fedeli a Trump non hanno avuto, avendo riferito di non aver voluto render pubbliche le parti più riservate della conversazione in cui era stato coinvolto, nelle quali i dati erano davvero sensibili da un punto di vista militare e strategico e questo proprio per motivi di sicurezza nazionale.
Gli uomini del presidente attaccano duramente l’Europa
I contenuti della chat hanno seminato un pandemonio, considerato che nei dialoghi tanto Vance quanto Hegseth non vanno molto per il sottile nei riguardi degli europei. Il vicepresidente afferma testualmente che “odia salvare l’Europa ancora una volta”, rincarando la dose asserendo: “Assicuriamoci che il nostro messaggio sia rigoroso. E se ci sono cose che possiamo fare in anticipo per minimizzare il rischio per le strutture petrolifere saudite, dovremmo farlo” – a conferma dell’interesse per la salvaguardia degli interessi di Riad e nessun riguardo per gli (ex) partner del Vecchio continente.
Dal canto suo, per tutta risposta il capo del Pentagono concorda e usa parole dure nei confronti dell’Europa: “Sono completamente d’accordo, odio il comportamento approfittatore degli europei. È patetico”, giustificando comunque l’attacco “per riaprire i collegamenti via mare”, mentre un terzo partecipante alla chat sottolinea l’esigenza “di chiarire in fretta a Egitto ed Europa cosa ci aspettiamo in cambio”, chiedendosi nel contempo cosa fare se gli europei non volessero accettare la “richiesta”.
I democratici reagiscono al caos generato dalla vicenda
“Ditemi che è uno scherzo”, ha reagito Hillary Clinton, che nel 2016 è stata attaccata duramente dai fedelissimi di Trump quando era la sua avversaria nella corsa alla Casa Bianca, per aver inviato e-mail ufficiali tramite una piattaforma di messaggistica privata non protetta ai tempi in cui era segretario di Stato per Barack Obama.
Le ha fatto eco Jim Himes, membro democratico della Commissione Intelligence della Camera, secondo il quale “la responsabilità è essenziale per la cultura militare. Immaginate cosa pensano i militari quando vedono l’uomo che ha in mano le loro vite mentire, eludere e sottrarsi alle responsabilità”.
“Questa è una delle più stupefacenti fughe di notizie sull’intelligence militare che abbia letto da molto, molto tempo”, ha invece denunciato il leader della minoranza democratica del Senato degli Stati Uniti Chuck Schumer, chiedendo una ‘indagine completa’, mentre la senatrice democratica Elizabeth Warren ha evidenziato a suo avviso due aspetti cardine della vicenda: “Questo è palesemente illegale e incredibilmente pericoloso. La nostra sicurezza nazionale è nelle mani di dilettanti allo sbaraglio”.
Repubblicani in difficoltà tentano di serrare le fila, comunque
L’imbarazzo è evidente da parte repubblicana, ma il campo è unito e cerca di minimizzare la vicenda. “Qualcuno ha sbagliato”, ha riassunto il senatore Tim Sheehy davanti ai giornalisti.
“Mi hanno detto che c’è un’indagine in corso per determinare” come sia potuto accadere. ‘Non sono sicuro che abbia bisogno di particolare attenzione’, ha aggiunto lo speaker repubblicano alla Camera Mike Johnson, secondo il New York Times. Alla domanda della rivista The Hill se Mike Waltz, che, come ha rimarcato The Atlantic, era dietro la fuga di notizie, dovesse essere sanzionato, ha risposto: “No, naturalmente no”.
Ma in molti negli Stati Uniti sono convinti che Waltz dovrebbe fare lui stesso un passo indietro senza che vi siano espresse richieste, alla luce dell’ampiezza dello scandalo che sembra non essere ancora finito.