di Lorella Beretta
"La Cina è amica dell’Africa": con questo slogan il presidente cinese Xi Jinping apre oggi, venerdì, a Johannesburg il primo summit del FOCAC, il Forum on China-Africa Cooperation. Ci saranno lui, il suo ministro degli esteri e oltre 50 capi di Stato africani - presidenti e dittatori, paladini della democrazia e padri-padroni ora condannati ora abbracciati da un Occidente confuso e spiazzato. Cina e Africa, uniti dall’ideologia socialista che non disdegna i dollari, negli ultimi 15 anni sono diventati partner essenziali l’uno all’altra dal punto di vista commerciale ma anche politico: non a caso settimana scorsa Pechino ha annunciato che costruirà la prima base navale oltre confine nel continente africano: sarà a Gibuti, colonia francese prima e poi avamposto americano con quei 4'000 soldati stanziati a Camp Lemonnier e pronti a far scattare le operazioni militari sulla Penisola Araba e nel Golfo di Aden dal quale passa oltre il 40% degli scambi mercantili tra est e ovest oltre che la pirateria somala. Alla notizia che ai 10'000 soldati occidentali si aggiungono ora anche quelli cinesi, la Casa Bianca ha reagito con una nota amareggiata e preoccupata.
I timori degli Stati Uniti
Da anni Washington guarda con paura alla inarrestabile espansione cinese: Hillary Clinton due anni fa aprì lo scontro diplomatico definendo la Cina "il concorrente più aggressivo e senza morale". Barack Obama fu meno diretto ma quando nel 2013 andò a far visita a un Nelson Mandela ormai in fin di vita, avvertì gli studenti di Soweto di non fidarsi di chi investe soldi "senza portare posti di lavoro per la popolazione locale". Se non fosse che i soldi sono stati e saranno tanti: per l’agenzia Fitch ratings, tra il 2001 e il 2010 la Banca cinese per le importazioni e le esportazioni ha concesso ai paesi africani prestiti per 62,7 miliardi di dollari, 12,5 miliardi di dollari in più della Banca mondiale. Basti solo pensare che solo gli accordi commerciali sottoscritti mercoledi tra Jinping e il presidente sudafricano Jacob Zuma ammontano a 6,5 miliardi di dollari. Il capitolo grosso riguarda le centrali nucleari necessarie per risolvere l’insufficienza energetica nel paese che fu di Mandela, amico di Londra e di Washington ai quali fu sempre riconoscente per il sostegno ricevuto nella lotta all’apartheid.