“Si parla della COP28 e di energie rinnovabili, ma in questo vertice sono moltissime le persone con legami con l’industria petrolifera o con le fonti energetiche fossili. È negativo per gli sforzi o sintomo che le stesse industrie sono aperte a nuovi investimenti? “Alla COP28 si è parlato anche di adattamenti al cambiamento climatico e delle migrazioni climatiche che ci troveremo ad affrontare?”. E ancora: “Cosa dovrebbe fare la Svizzera per abbandonare i combustibili fossili e quali saranno le conseguenze e i benefici?”
Domande che hanno diversi aspetti in comune. Primo: riguardano il clima e la conferenza delle Nazioni Unite in corso a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Secondo: sono state poste da giovani; tutte da studenti della 4E del Liceo di Lugano 2, che hanno partecipato oggi – lunedì – a una puntata speciale di Modem, dedicata appunto ai giovani, al clima e al petrolio, nel contesto della COP28 di Dubai, il tanto discusso vertice sul clima.
Come al solito, o forse addirittura più del solito, durante la conferenza sul clima vengono a galla le linee di scontro fra paesi industrializzati, emergenti e in via di sviluppo. Divisioni a cui si sovrappongono quelle fra chi il petrolio lo consuma e chi lo esporta, con i paesi produttori che non sono disposti a rinunciare ai profitti dell’oro nero.
L’accordo attualmente sul tavolo alla conferenza di Dubai mira ad accelerare il passaggio alle energie rinnovabili e ad aumentare l’efficienza energetica, oltre alla creazione di un fondo per indennizzare le vittime del cambiamento climatico. Finora sono invece rimaste inascoltate le richieste per includere nel documento degli obiettivi vincolanti per ridurre l’uso del petrolio. È perciò difficile limitare le emissioni, così da evitare un aumento medio delle temperature superiore a 1.5 gradi.
La 4E del Liceo Lugano 2 ospite a Modem
“Molta confusione nei negoziati”
Antonio Piemontese, che segue la COP28 da Dubai e collabora anche con i nostri radiogiornali, spiega che “siamo in alto mare, c’è molta confusione nei gruppi negoziali, potrebbe presto uscire una nuova bozza del testo conclusivo. Le interpretazioni sui temi chiave sono molteplici e la politica dopo il lavoro dei tecnici è chiamata a sciogliere i nodi. È probabile che si trovi un accordo, ma il problema è che cosa ci sarà in questo accordo? Le interpretazioni variano, con i paesi in via di sviluppo che cercano una transizione economicamente sostenibile e che possa rispettare il passo di queste economie, che non è quello occidentale”.
“Bisogna uscire da petrolio”
Massimo Filippini, professore di economia al Politecnico federale di Zurigo e all’USI, direttore del Centro di ricerca in economia e politica dell’energia del Politecnico di Zurigo, sostiene per parte sua che per rispettare l’obbiettivo di mantenere il riscaldamento climatico sotto 1,5 gradi sia necessario uscire dal petrolio: “Bisogna ricordare che gli attuali sistemi energetici sono dominati dai combustibili fossili, in particolare petrolio, seguito da gas e carbone. Sistemi che stanno creando due emergenze: quella climatica ma anche una sanitaria. Vale la pena ricordare che per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria ogni anno, secondo l’OMS, muoiono 3,5 milioni di persone. Morti premature determinate dall’inquinamento. Non c’è solo l’aspetto climatico: bisogna trasformare al più presto questi sistemi energetici. Bisogna attuare una transizione energetica. Quando si parla di COP28, è essenziale parlare di transizione, di trasformare gli attuali sistemi basati su combustibili fossili, in sistemi caratterizzati da molta efficienza, da fonti rinnovabili e da digitalizzazione del settore energetico”.
“Necessaria la cooperazione internazionale”
La transizione, però, non dipende dai paesi produttori di petrolio, sostiene Alberto Clò, docente di economia industriale all’Università di Bologna, direttore della rivista Energia e già ministro italiano dell’Industria: “Transizione energetica significa passare dal dominio delle fonti fossili, ma che ancora oggi contribuiscono all’82% dei consumi, al dominio delle rinnovabili. Per prima cosa, le rinnovabili producono sostanzialmente energia elettrica e questa energia rappresenta però solo un quinto dei consumi. Da quarant’anni le fossili contribuiscono per oltre l’80% dei consumi, mentre solare e eolico non arrivano oltre il 4%: il problema è che ogni anno si alimentano grandi aspettative sulle conferenze per il clima, forse eccessive aspettative, salvo poi dire che sono stati dei fallimenti. Ma una COP che si tiene in un Paese produttore di petrolio, non può sconfessare il petrolio. Gli Emirati producono il 4% della produzione totale. Era esagerato aspettarsi grandi risultati. Il comunicato finale, che dovrebbe avere l’unanimità dei paesi, non conterrà niente. Ma le COP sono un passaggio inevitabile, con una condizione necessaria ma non sufficiente: non ci può essere lotta al cambiamento climatico, se non in una cornice di cooperazione internazionale. Le due grandi sfide del passato sono state la lotta al buco dell’ozono e alle piogge acide: oggi non se ne parla perché sostanzialmente sono state risolte con accordi internazionali. I cambiamenti climatici sono un tema più consistente ed è difficile avere unanimità di consensi. Ma è sulla strada della cooperazione internazionale che bisogna proseguire gli sforzi.”