Ritardi, disguidi, confusione stanno caratterizzando le elezioni congolesi che permetteranno il rinnovo della presidenza, del parlamento e dei poteri provinciali, dopo ben tre rinvii dell'appuntamento elettorale. Secondo i sondaggi pubblicati alcuni giorni fa e realizzati dal Gruppo di studio per il Congo (GEC) dell'Università di New York con la società BERCI, vicina all'opposizione, e Ispos South Africa, i favoriti sarebbero i due principali candidati dell'opposizione Martin Fayulu e Félix Tshisekedi, mentre il delfino del presidente Emmanuel Shadary sarebbe solo al terzo posto. Il governo ha rifiutato il sostegno logistico della Nazioni Unite e ha accettato solo gli osservatori dell’Unione africana.
Alla luce dei disguidi che si sono registrati già in apertura della giornata, quale sarà l'attendibilità del risultato finale? Risponde l'esperto Kris Berwouts, autore del recente saggio "Congo's Violent Peace. Conflict and Struggle Since the Great African War".
Da tempo si sa che il risultato non sarà molto affidabile perché le elezioni non sono libere e trasparenti. Se il governo ha il controllo totale su tutti gli strumenti dello Stato, compresi gli organi di repressioni, i media ufficiali, la commissione elettorale indipendente -ma non più di quel tanto- e la corte costituzionale, capiamo facilmente che non organizzerà le elezioni per perderle. Le organizza per vincerle. E faranno tutto il possibile - intimidazioni e frodi - per farlo.
Il presidente Kabila e il governo hanno cercato a lungo di evitare le elezioni grazie a quello che laggiù viene chiamato il "glissement", lo scivolamento: si resta al potere evitando che sia eletto un successore. Le pressioni dal basso e dalla comunità internazionale hanno fatto cambiare la strategia e accelerato la preparazione del voto ma sotto un controllo totale.
Perché queste elezioni sono definite storiche e cruciali in Congo ?
La gente ama molto le metafore in Congo. Dice: "Non vogliamo cambiare solo l'autista, vogliamo cambiare anche il veicolo". Insomma, vogliono uscire dal sistema di governo per cui è stato inventato a suo tempo il termine di cleptocrazia.
Qual è il bilancio del presidente Joseph Kabila salito al potere nel 2001 dopo l’uccisione di suo padre Désiré?
È un bilancio in chiaroscuro. Il presidente è riuscito a mantenere l'unità del paese che quando è arrivato al potere era spaccato in diverse parti. Non bisogna sottovalutare questo fatto. Inizialmente ha incarnato per molti la speranza di un futuro diverso. Ma non è riuscito - alcuni dicono che non ci ha nemmeno provato - a cambiare il sistema di cattivo governo in vigore da oltre quarant’anni.
L’ONU mantiene in Congo la maggiore missione di pace, la MONUSCO con oltre 17'000 uomini. Perché, malgrado questo impegno, non si riesce a garantire nel paese degli standard minimi durante i processi elettorali?
Ci sono molte ragioni. Il paese è molto complesso con molti conflitti locali profondi. La MONUSCO è obbligata a rimanere in superficie per mancanza di conoscenze approfondite del paese. E anche per mancanza di mezzi. La missione della MONUSCO cambia continuamente il personale con mandati rinnovati di anno in anno da ormai 17 anni. In questo modo è molto difficile arrivare a un risultato duraturo. La MONUSCO non è per niente apprezzata dalla popolazione perché non svolge il ruolo di protezione previsto dal suo mandato. Ci sono anche diversi aspetti del suo mandato che risultano incompatibili: da un lato deve proteggere la popolazione e dall'altro deve collaborare con le autorità, in un paese dove le forze di sicurezza sono la principale fonte di minaccia e di insicurezza per la popolazione. Ne nasce un'ambiguità quasi insormontabile. Ed è così che pur avendo svolto un ruolo, la MONUSCO è rimasta largamente al di sotto delle attese della popolazione.
Il Congo è un paese fondamentale per l’approvvigionamento di materie prime preziose, ad esempio, per i nuovi sviluppi tecnologici: gli smartphone, le auto elettriche. Perché allora se ne parla così poco?
Nel 2006 il Congo era tra le tre, quattro priorità nella politica internazionale. Ora - dodici anni più tardi - si vede che l'attenzione dell'opinione pubblica europea è accaparrata da altri dossier: il Medio Oriente, il Nordafrica, la crisi migratoria.
La pressione e la dissuasione esercitata nei confronti dei giornalisti e delle ONG possono essere anche il motivo di questa mancanza di visibilità? Lei stesso è stato recentemente espulso dal Congo.
Sì, è vero, sono stato espulso. Fa parte del tentativo di mantenere a distanza gli osservatori critici. Non sono però sicuro che sia questo il motivo della scarsa visibilità del paese. Penso che il vero motivo sia però il cambiamento delle priorità internazionali.