“La prima volta che sono arrivato in Europa, vedevo soltanto infedeli, ovunque. Sputavo a terra quando vedevo due persone che si baciavano, non davo la mano a nessuno”. Quando Farhad Bitani arriva in Italia ha 18 anni e un cuore pieno di violenza. È il 2005: l’Afghanistan che lascia è un paese in guerra da più di venticinque anni, nel quale l’ideologia talebana ha avvelenato un popolo intero. “Da piccolo mi portavano allo stadio a vedere gli spettacoli: decapitavano le persone e lapidavano le donne. Questo era l’unico mondo che conoscevo”.
Farhad Bitani intervistato da Lucia Mottini
RG 12.30 del 10.06.2017 L'intervista a Farhad Bitani, di Lucia Mottini
RSI Info 10.06.2017, 20:03
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Poi l’Accademia militare di Modena (grazie ai contatti di suo padre, ex comandante dei mujaheddin e poi generale di corpo d’armata afghano), il ritorno in Afghanistan dove combatte come ufficiale per l’ISAF, l’attentato dei talebani a cui scampa miracolosamente, e infine l’ottenimento dell’asilo in Italia. “Sono cambiato grazie all’’incontro e al dialogo con il diverso. Attraverso i piccolissimi gesti quotidiani delle persone mi sono liberato del fondamentalismo”.
Oggi Farhad Bitani è un educatore impegnato nella promozione del dialogo interreligioso e cofondatore del
Global Afghan Forum, un’organizzazione internazionale che si occupa dell’educazione dei giovani afghani. “
In molti oggi sono diventati professori, medici, ingegneri, politici. Perché i paesi occidentali invece di continuare una guerra infinita non usano queste persone per cambiare l’Afghanistan? Dobbiamo lavorare tanto sui giovani: invece di costruire caserme, dobbiamo costruire scuole.”
Jonas Marti