La Grecia si è impegnata a varare entro dopodomani (15 luglio) l’aumento delle aliquote IVA e l’allargamento della base imponibile, il che significa fine dei tassi ridotti su alcune categorie di merci e per alcuni territori, come le isole. Il Parlamento dovrà varare subito delle misure sul sistema pensionistico, garantire l’indipendenza legale dell’istituto greco di statistica ed introdurre nel bilancio dello Stato meccanismi semiautomatici di taglio alla spesa. Solo dopo questa prima serie di misure – la cui approvazione richiederà certamente l’allargamento dell’attuale maggioranza di governo – i ministri delle finanze della zona euro, in teleconferenza, avvieranno formalmente la procedura per la concessione del prestito triennale chiesto da Atene al fondo salva-stati. Questa loro decisione, in almeno sette Paesi dell’Eurozona tra cui la Germania, dovrà essere oggetto di un passaggio parlamentare.
Entro il 22 luglio il parlamento greco dovrà adottare il nuovo codice civile e la direttiva sulla ricapitalizzazione delle banche.
Ma la misura più importante, e potenzialmente più umiliante, è la nascita di un fondo a cui verrà trasferita la proprietà di beni greci da privatizzare o gestire, con l’obbiettivo di realizzare 50 miliardi di euro. Almeno venticinque miliardi così realizzati dovranno servire a compensare i fondi spesi per la ricapitalizzazione delle banche. Di quanto resterà – ammesso che qualcosa resti - solo metà potrà essere impiegato per investimenti, il resto dovrà andare a ridurre il debito.
Insomma, Atene ha trasferito l’argenteria di famiglia ai creditori. Saranno loro a gestire la privatizzazione. Inizialmente si prospettava addirittura la collocazione di questo fondo in Lusssemburgo, affidato alle cure della Banca Europea degli Investimenti. Alla fine si è deciso di basarlo in Grecia, ma con una supervisione europea. Il fondo e il suo meccanismo di ripartizione sono stati uno degli scogli maggiori, e intorno alle sei del mattino si è sfiorata la rottura.
Torna in campo la troika, anche se non avrà questo nome: i tecnici delle istituzioni rimetteranno piede ad Atene, si legge nel documento approvato stamane, per garantire assistenza ed il necessario monitoraggio.
La Grecia otterrà in cambio (prima ancora del prestito triennale) un prestito ponte di 7 miliardi, che praticamente non vedrà nemmeno: dal 1 luglio Atene è in arretrato di 1 un miliardo e mezzo con il Fondo Monetario Internazionale; il 20 luglio deve ridare 3 miliardi e mezzo alla BCE. E a gennaio dovrà chiedere un altro prestito all’FMI perché i creditori europei vogliono che quell’istituzione rimanga nella partita.
Atene ha evitato un salto nel buio, ma ad un prezzo non indifferente.
Tomas Miglierina (corrispondente RSI a Bruxelles)