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Fukushima, ex dirigenti Tepco condannati

Quattro persone, a suo tempo alla guida della società, dovranno versarle circa 93 miliardi di franchi per non essere riusciti a evitare il disastro del 2011

  • 13 luglio 2022, 10:31
  • 20 novembre, 15:31
Centrale Fukushima contatore Geiger

L'incidente nucleare del 2011 è già costato alla Tepco ben oltre 100 miliardi franchi e altri si aggiungeranno nei prossimi anni

  • Keystone
Di: Diem/ATS/Notiziario 10.00 

La Tokyo Electric Power (Tepco) sarà risarcita dai suoi ex vertici che non riuscirono a prevenire la catastrofe di Fukushima del marzo 2011. La Corte distrettuale di Tokyo, statuendo su una causa civile intentata da 48 azionisti della grande società, ha stabilito che dovranno pagare all'incirca 93 miliardi di franchi (13'000 miliardi di yen) a causa delle colossali perdite subite dal gruppo, costretto a coprire gli enormi costi sostenuti per lo smantellamento dell'impianto nucleare e per i risarcimenti ai residenti, obbligati a lasciare le proprie abitazioni dopo l'incidente. Gli azionisti ne chiedevano quasi il doppio. Tra i quattro figurano anche gli ex presidenti Tsunehisa Katsumata e Masataka Shimizu.

Il verdetto civile si discosta da una precedente sentenza penale non ancora definitiva (la massima Corte dovrebbe pronunciarsi l'anno prossimo). Nel 2019 i giudici avevano ritenuto tre dei massimi dirigenti della Tepco (tra cui lo stesso Tsunehisa Katsumata e gli vicepresidenti Ichiro Takekuro e Sakae Muto) non colpevoli di negligenza poiché non avrebbero potuto prevedere l'enorme tsunami che colpì le coste settentrionali del Giappone e la centrale nucleare dopo un terremoto di magnitudo 9 in mare. L'enorme ondata spense i generatori che garantivano il raffreddamento del reattore e si generarono grandi esplosioni. Il rilascio di radioattività nell'aria e la contaminazione dei terreni, indusse le autorità a ordinare l'evacuazione delle oltre 150'000 persone abitanti in un raggio di 20 chilometri.

Il processo attuale si concentrava sul livello di affidabilità di una valutazione delle attività sismiche nell'area eseguita da una commissione governativa nel 2002, nove anni prima dell'incidente. Gli azionisti ritengono che la valutazione fosse credibile e che i gestori avrebbero dovuto fare di più per salvaguardare l'impianto da un enorme tsunami. Il concatenamento degli eventi del 2011 provocò almeno 15'000 morti (di cui oltre 2'500 mai ritrovati) e 470'000 sfollati (all'incirca 40'000 non hanno ancora ottenuto una nuova casa).

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Gli ex dirigenti, tutti ormai ultrasettantenni, invece, hanno sempre sostenuto che la valutazione non fosse attendibile, quindi non potevano prevedere i danni di uno tsunami di quella portata e che non ci fosse comunque il tempo di adottare le misure preventive necessarie.

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