Nel contesto delle trattative per la pacificazione in Ucraina, la Russia di Vladimir Putin ha varie opzioni sul tavolo, dipendenti dalla propria strategia, ma anche da quella degli altri attori coinvolti. Da un lato gli Stati Uniti di Trump hanno cambiato rotta rispetto alla precedente amministrazione Biden, con l’annuncio di un disimpegno nel conflitto a fianco di Kiev e l’assunzione di un ruolo di mediazione alla ricerca di una via d’uscita; dall’altro l’Unione Europea e la cosiddetta coalizione dei volenterosi è rimasta schierata con Zelensky, sostenendo la linea ucraina, basata sulla resistenza e poco incline alla capitolazione di fronte alla Russia. Da parte di Kiev le possibilità di manovra sono comunque limitate, dipendendo in sostanza dagli aiuti occidentali, soprattutto a stelle e strisce.
I negoziati incrociati nelle scorse settimane hanno mostrato come i punti di contatto trasversali siano presenti, ma trovare la quadra, condivisa da tutti sia alquanto complicato: la mediazione statunitense si è scontrata con le differenti posizioni e la tempistica prevista dalla Casa Bianca pare non contempli tempi infiniti, come espresso senza mezzi termini dal Segretario di Stato Marco Rubio e confermato ulteriormente da Trump. Gli USA sulla linea di ciò che stato estrinsecato varie volte dallo stesso presidente, hanno altre priorità sullo scacchiere internazionale e la questione del supporto all’Ucraina è passata ormai in secondo piano.
La Russia al bivio
Di fronte a questo quadro il Cremlino si trova al momento davanti a un bivio: seguire la via della pacificazione, ferme restando le richieste espresse sin dall’inizio del conflitto, a partire dalla conservazione dei territori occupati passando dallo status postbellico neutrale dell’Ucraina, fuori dalla NATO, ed è questo a grandi linee anche il piano statunitense. Oppure continuare la guerra, che dalla fallita controffensiva ucraina del 2023 vede le truppe russe mantenere l’iniziativa su tutta la linea del fronte; in questa ottica vi potrebbe essere un’offensiva primaverile nelle regioni di Sumy e di Kharkhiv. Entrambe le strade sono percorribili e dipendono appunto non solo dalla mera volontà di Putin di mettere fine o meno alla guerra, ma anche da quella ucraina e in particolar modo europea di accettare compromessi dettati dallo stato delle cose sul terreno di battaglia.
La Russia è al momento in una posizione di forza, ma le condizioni poste sul tavolo non sono state accettate da Kiev e dai leader di Francia, Gran Bretagna e Germania che sostengono Zelensky, mentre Trump ha fatto chiaramente capire di voler raggiungere un accordo in tempi molto stretti. Di fronte a una resa più o meno incondizionata di Kiev davanti allo status quo, Mosca sarebbe disposta probabilmente a mettere fine al conflitto, nella cornice di una ridefinizione totale del sistema di sicurezza europeo; in caso contrario la guerra proseguirebbe ad oltranza. La vittoria sul terreno ucraino, misurata non tanto in chilometri quadrati di terreno conquistati, ma soprattutto con il recepimento delle richieste fondamentali espresse già alla vigilia dell’invasione dell’ex repubblica sovietica, è un fattore esistenziale per il sistema putiniano.
Falchi e colombe all’ombra del Cremlino
Per il momento Putin ha adottato una doppia strategia, in attesa di vedere quelle che saranno le risposte sul lato occidentale: i negoziati diplomatici con gli Stati Uniti sono avviati su binari sostanzialmente positivi e il riavvicinamento tra Cremlino e Casa Bianca si svolge anche al di fuori del contesto ucraino; d’altro canto, la superiorità militare nella guerra di logoramento consente alla Russia di seguire il binario bellico e puntare ad allargare il perimetro dei territori già conquistati: la riduzione del supporto occidentale a Kiev e la prospettiva di un netto distacco statunitense dal tipo di ingaggio avuto sino al 2024 sono elementi che spingono i falchi all’ombra del Cremlino a propendere per il prolungamento del conflitto.
Se quindi gli hardliner dell’apparato militare e d’intelligence, diffidenti non solo nei confronti degli europei, ma in primo luogo degli statunitensi, vorrebbero continuare l’operazione militare speciale fino alla vittoria finale, le colombe dell’area più liberale, legate alle istituzioni e ai tecnocrati che curano l’economia russa, sarebbero favorevoli invece a una conclusione rapida della guerra per riportare stabilità e minimizzare i rischi nel Paese. È anche su questi equilibri all’interno delle stanze del potere russo che si gioca dunque il destino del processo di pace, appeso in definitiva ai molti fili che si intrecciano a Mosca, Washington, Kiev e nelle cancellerie europee.