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Gli attivisti degli ombrelli

I protagonisti della protesta di Hong Kong non andranno in prigione, ma il futuro dell'ex colonia divide

  • 16 agosto 2016, 00:29
  • 7 giugno 2023, 22:29
02:48

Gli attivisti di Hong Kong - di Laura Daverio

RSI Info 15.08.2016, 21:02

Evitata la prigione per gli attivisti delle proteste degli ombrelli. Nel 2014 e per 79 giorni il movimento di disobbedienza civile paralizzò la città. Erano cominciate in risposta alla decisione di Pechino di pre-selezionare i candidati per il capo dell’esecutivo nelle elezioni del 2017. La protesta chiedeva il suffragio universale, me non era l’unico motivo per cui i ragazzi erano scesi in piazza a migliaia. L’influenza di Pechino è cresciuta in ogni ambiente mettendo in discussione il principio "un paese - due sistemi" con cui l’ex-colonia britannica è tornata a far parte della Cina, e che avrebbe dovuto garantire 50 anni di autonomia.

La zona di Causeway bay durante le proteste del 2014...

La zona di Causeway bay durante le proteste del 2014...

  • Laura Daverio/RSI
... e oggi

... e oggi

  • Laura Daverio/RSI

I volti del movimento

Joshua Wong a soli 17 anni, Nathan Law e Alex Chow sono diventati i volti simbolo del movimento degli ombrelli. Arrestati e giudicati colpevoli di raduni, con la sentenza di lunedì potevano vedersi imporre la prigione. Joshua e Nathan invece dovranno fare rispettivamente 80 e 120 ore di lavoro socialmente utile e Alex, che è stato condannato a 3 settimane di prigione con sentenza sospesa, rimane libero.

Tirano un respiro di sollievo e continuano il loro attivismo. La battaglia oggi è molto diversa. La fine delle proteste ha fatto emergere una società polarizzata, dove il dialogo si fa sempre più difficile. Se le manifestazioni del 2014 hanno creato una generazione di giovani impegnati politicamente, la fine del movimento ha visto una crescente divisione tra chi ha appoggiato gli stessi ideali.

La città a settembre andrà alle urne per eleggere il consiglio legislativo, il parlamento di Hong Kong. Nathan Law si candida con il partito Demosisto fondato da lui stesso. Chiede l’auto-determinazione per Hong Kong, ovvero un referendum generale in cui la popolazione possa decidere il proprio futuro politico alla fine dei 50 anni dal ritorno alla Cina. Non chiede oggi l’indipendenza, ma ritiene che debba essere una scelta possibile. Sono però emerse voci più radicali, gruppi chiamati "localisti". Disillusi non solo dalle possiblità di dialogo con Pechino, ma anche da voci più moderate a Hong Kong. Vedono l’indipendenza come unica soluzione, con l’uso della violenza se necessario.

L’appoggio o meno all’indipendenza è diventato tema di forte attualità. Per la prima volta la commissione elettorale ha eliminato candidati per aver espresso il loro appoggio all’indipendenza, anche nel caso in cui vi avessero rinunciato per iscritto. Solo pochi giorni fa la Commissione per l'educazione ha dichiarato che annullerà le qualifiche di insegnati favorevoli all’indipendenza che ne parlino in classe. Rimane aperta la domanda su chi abbia il diritto di dare tale giudizio e quale sia la base legale.

"Penso che il sistema giudiziario a Hong Kong sia ancora molto forte", spiega il Prof. Joannes Chan, che insegna legge all’università di Hong Kong, "ma questo non vuol dire che non sia minacciato, soprattutto dopo le proteste". Secondo il prof. Chan è l’unica cosa che differenzia i due sistemi, "se anche questo comincia a sparire e non riusciamo a mantenere lo stato di diritto, il futuro di 'un paese-due sistemi' è finito".

Laura Daverio

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