Era il 4 novembre del 1979. In Iran, la rivoluzione di Khomeini aveva liquidato già da alcuni mesi il regime dello Scià, costretto all'esilio e ad una peregrinazione fra paesi riluttanti ad accoglierlo. Furono alla fine i suoi ex alleati, gli Stati Uniti, ad autorizzare dopo molte esitazioni un ricovero a New York, per permettere allo Scià di sottoporsi ad un trattamento antitumorale. Una decisione che scatenò la protesta dei rivoluzionari iraniani, i quali invocavano l'estradizione dell'ex monarca e il giudizio popolare per i crimini a lui imputati.
L'avversione verso gli Stati Uniti sfociò in un evento drammatico: l'occupazione dell'ambasciata americana a Teheran, da parte di un gruppo di studenti sostenuti da Khomeini. Erik-Roger Lang, allora ambasciatore svizzero in Iran, visse in prima persona l'inizio di quella crisi e i suoi sviluppi. Oggi ha 84 anni e da una ventina ha lasciato gli incarichi diplomatici. Lo raggiungiamo al telefono. Quale fu la sua reazione, appena appresa la notizia?
Fu l'inizio di una crisi destinata a trascinarsi per ben 444 giorni, fra infruttuosi tentativi di mediazione, apprensioni per la sorte degli ostaggi e un clima di fortissima tensione.
L'occupazione dell'ambasciata e le proteste antiamericane
La Svizzera, dapprima "de facto" e in un secondo momento anche ufficialmente, assunse in quel periodo la rappresentanza degli interessi degli Stati Uniti in Iran, dopo la rottura delle relazioni fra i due paesi. Un ruolo, esercitato ancora oggi. Ma quale fu all'epoca il contributo della Svizzera agli sforzi internazionali per il rilascio degli americani?
Il 24 aprile del 1980, un altro grave evento rischiò di compromettere tutti i tentativi di mediazione: l'operazione militare con cui gli Stati Uniti tentarono di liberare i loro connazionali. La prova di forza sfociò in un fallimento, a causa dell'incidente fra un aereo e un elicottero nel deserto iraniano. Otto i soldati che persero la vita. Erik-Roger Lang non aveva avuto il benchè minimo sentore di quanto gli Stati Uniti avevano tramato. "Se l'avessi saputo, posso dire che mi sarei violentemente opposto, sottolineando che gli sforzi intrapresi fino a quel momento sarebbero stati vanificati da un'operazione del genere", ci racconta.
L'elicottero USA finito distrutto nel deserto iraniano nel 1980
Per la Svizzera - che già rappresentava gli interessi di Washington - non ci fu il rischio, dopo quell'evento, di essere identificata dai rivoluzionari come un paese tutt'altro che neutrale, ma vicino all'America?
La liberazione di tutti gli ostaggi avvenne solo il 20 gennaio del 1981, grazie al successo di una mediazione intrapresa dall'Algeria. Durante la lunga crisi, lo Scià morì in Egitto e la vicenda degli ostaggi risultò fatale per le aspirazioni di Jimmy Carter ad una rielezione alla Casa Bianca: il presidente uscente fu infatti sonoramente sconfitto da Ronald Reagan.
Dall'inizio di quella crisi sono trascorsi 35 anni. Un periodo lunghissimo, segnato sempre dall'assenza di relazioni diplomatiche e da un antagonismo politico ormai strutturato fra Iran e Stati Uniti.
Un murales antiamericano a Teheran
Solo più di recente, fra i due paesi, sembrano emersi segnali di una qualche distensione. Ma quanta concretezza c'è in questo clima almeno in apparenza diverso?
Intanto però un nuovo elemento sta alimentando instabilità e inquietudine nel già turbolento Medio Oriente: l'avanzata sanguinosa dello Stato islamico. In che misura tale pericolo potrebbe spingere Stati Uniti e Iran ad un riavvicinamento?
Alex Ricordi
DALLA RADIO
RG delle 12.30 del 04/11/2014; il servizio di Alex Ricordi