L’ennesima uccisione di un giovane afroamericano disarmato durante un fermo di polizia ha scosso l’America, ha turbato – ha ammesso la portavoce della Casa Bianca, Jan Psaki – persino il presidente Joe Biden e, l’indomani la tragedia, il sindaco e il comandante delle forze dell’ordine di Brooklyn Center, a pochi passi da Minneapolis, hanno parlato alla stampa.
“È stato un tragico errore”, hanno ammesso all’unisono, facendo un esercizio di trasparenza per cercare di calmare il clima nella cittadina, dopo che per tutta la notte vi erano state manifestazioni di protesta e saccheggi, proprio mentre nella Twin City è in corso il dibattimento per la morte di George Floyd.
E dopo le parole, le immagini. Una sequenza di meno di un minuto. Immagini veloci, concitate, riprese dalla body-cam dell’agente intervenuta ieri pomeriggio, poco prima delle due. Un fermo di polizia, il tentativo di ammanettare un afroamericano, il giovane che cerca di divincolarsi, una colluttazione, compare un pistola. Si sente “Taser” e poi, impercettibile, un colpo e un’imprecazione.
È il video dell’ennesima vittima disarmata delle forze dell’ordine. Il secondo afroamericano ucciso a Minneapolis dal 25 maggio, dalla morte di George Floyd. Il copione pare quello tristemente abituale, ma per non abituarsi c’è un volto, il viso di un ragazzo di vent’anni, Daunte Wright, immortalato col figlioletto di meno di due anni che non vedrà crescere. E c’è il grido di dolore della madre chiamata dal figlio ventenne al momento del fermo di polizia. “Mi ha detto che era stato fermato dalla polizia, gli ho chiesto perché, perché i deodoranti coprivano lo specchietto retrovisore”.
Ieri pomeriggio, poco prima delle due, il giovane era in auto con la fidanzata. Fermato per un’infrazione stradale (pare una targa scaduta), la polizia avrebbe voluto arrestarlo dopo aver scoperto il suo mandato d’arresto pendente. “Per reati minori”, ha detto il Comandante di Polizia. A quel punto è iniziato il tentativo di fuga e la brusca colluttazione. Una poliziotta interviene in aiuto del collega e – come spiegato dal Comando - usa la pistola al posto del taser.
“Un minuto dopo l’ho richiamato – ha dichiarato la madre, Katie Wright – ed ha risposto la fidanzata dicendo che gli avevano sparato”. Ferito, il 20enne è morto pochi isolati più in là, schiantatosi contro un altro veicolo. Da subito attorno all’auto semidistrutta si è scatenata la protesta e neppure il teatro del dramma è casuale.
Siamo alla periferia nord di Minneapolis, Brooklyn Center, 30mila abitanti, a 16 chilometri da dove è stato ucciso George Floyd. Per tutta la notte la furia e la rabbia hanno occupato le strade, con tanto di distruzione e saccheggi in almeno una 20ina di negozi. È stato proclamato il coprifuoco, è giunta la guardia nazionale.
Tutto prevedibile, scene già viste in Minnesota e in molti angoli degli Stati Uniti e che inevitabilmente riportano alla mente quanto da tre settimane si dibatte nel tribunale di Minneapolis, zeppo di implicazioni non soltanto penali. Quello a Derek Chauvin non è un semplice processo a un agente di polizia. Fosse stato necessario, la morte di Daunte Wright, un afroamericano di 20 anni, l’ha ricordato.