Approfondimento

La rivalità fra Stati Uniti e Cina che ha azzoppato l’OMC

L’Organizzazione mondiale del commercio ha compiuto 30 anni ma ha strumenti limitati e già prima dei dazi di Trump il meccanismo di risoluzione dei conflitti era paralizzato

  • Oggi, 08:11
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Il quartier generale di Ginevra

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Di: Stefano Pongan 

La Svizzera e altri Paesi avevano ottenuto ragione due anni e mezzo fa, ricorrendo all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC, o WTO nella sua sigla inglese per World Trade Organization) contro le tariffe imposte dagli Stati Uniti sulle importazioni di acciaio e alluminio. Una decisione che spianava la strada verso l’adozione di possibili misure riparatrici... ma Washington aveva fatto ricorso e il caso è rimasto in sospeso.

Da ormai quasi una decina di anni, da quando la Casa Bianca ha bloccato le nomine in seno alla seconda (e massima) istanza dell’OMC, l’organo ha smesso di funzionare. Perse un paio di partite cruciali, come vedremo, gli Stati Uniti hanno portato via il pallone, se vogliamo usare una metafora da campetto. La Corte dal dicembre 2019, e in attesa di una riforma delle procedure di arbitrato, non può quindi pronunciarsi nemmeno sulle cause aperte contro la nuova ondata di dazi decisa (e ora in parte sospesa) dall’amministrazione Trump. Ne hanno già presentate in queste settimane sia il Canada che la Cina.

00:49

La Cina contrattacca e alza i dazi al 125%

Telegiornale 11.04.2025, 12:30

Un accordo multilaterale provvisorio ha creato un meccanismo d’appello alternativo, le cui decisioni hanno il difetto di non avere valore vincolante. Vi hanno aderito l’UE e una cinquantina di altri Paesi, ma Washington è fuori.

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La direttrice dell'OMC Ngozi Okonjo-Iweala

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Ecco quindi che l’attuale guerra commerciale suscita legittimi interrogativi sul significato e l’importanza dell’esistenza stessa dell’Organizzazione mondiale del commercio. È ancora in grado di assolvere i suoi compiti?

La storia dell’OMC

Quella dell’OMC - considerata un “tempio della globalizzazione” e quindi per questo oggetto anche di critiche - è una storia relativamente breve. Proprio giovedì ha compiuto 30 anni, festeggiati in modo molto sobrio. Si tratta quindi di un’organizzazione internazionale “giovane” e - importante notarlo - che non si trova sotto il cappello delle Nazioni Unite. Frutto del cosiddetto Uruguay Round (1986-1994), è succeduta nel 1995 al General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) sviluppato a partire dal 1947, dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ha 166 membri che rappresentano il 98% del commercio mondiale, con un’altra ventina di candidati all’adesione. La sua sede è a Ginevra, conta circa 600 dipendenti e ha un budget di 205 milioni di franchi (dato del 2024). La sua direttrice è la nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala.

L’articolo III dell’accordo di Marrakech che ne ha sancito la creazione dice che le sue funzioni principali sono di facilitare, implementare e amministrare accordi commerciali multilaterali, fungere da forum di discussione in questo ambito e anche - qui sta il nodo principale oggi - amministrare l’intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie. Questo laddove non abbia funzionato l’approccio privilegiato, che è quello della conciliazione fra le parti in disaccordo. Tutto questo allo scopo finale di creare un mondo economico più prospero, pacifico e prevedibile per gli attori in campo, che non sia discriminatorio. Le regole vengono create attraverso il consenso degli Stati membri. Tutto è cominciato con il commercio di beni, ma ora le intese riguardano per esempio anche i servizi e la proprietà intellettuale. In tutto gli accordi gestiti e sorvegliati dall’OMC sono una trentina. Nelle norme dell’OMC non si parla più solo di dazi, ma anche di sussidi, trasparenza, misure anti-dumping.

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Via la targa del GATT, sostituita da quella con le sigle WTO-OMC: è il 30 dicembre 1994 a Ginevra

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“Regole affidabili” ma senza mezzi per farle rispettare

“A differenza delle grandi potenze commerciali, la Svizzera, in quanto attore di medie dimensioni, non può contare sulla taglia del suo mercato per difendere le sue posizioni economiche e commerciali. Necessita di regole affidabili per garantire la sicurezza degli scambi economici internazionali”, si legge sul sito della Confederazione. L’Organizzazione mondiale del commercio è la garante di queste regole, ma non può impedire che Paesi più grandi facciano valere la legge del più forte. Dopo una decisione sfavorevole, lo Stato soccombente in una controversia deve informare l’OMC di come intende rimediare al proprio torto. Tuttavia, se una pratica commerciale giudicata vietata o discriminatoria non viene modificata, l’organizzazione non ha modo di imporre sanzioni proprie (né dispone di strumenti di coercizione credibili) e può al massimo autorizzare la parte “vincitrice” ad adottare misure compensatorie. È facile capire, però, come un’economia significativamente più debole non possa in questo modo riequilibrare da sola la situazione.

02:34

La reazione della Svizzera

Telegiornale 10.04.2025, 20:00

Un organo paralizzato

Il problema oggi, tuttavia, sta ancora a monte della dubbia efficacia dell’eventuale sanzione: bloccato il meccanismo di appello, quello che stabilisce in via definitiva chi ha ragione e chi ha torto, l’organizzazione ha di fatto perso la sua capacità di dirimere le divergenze. “Chiedere che una controversia sia risolta oggi non funziona e questo è simbolico”, ammette l’attuale ambasciatore elvetico presso la sede di Ginevra, Erwin Bollinger, intervistato dal Telegiornale della RSI. Il diplomatico relativizza la crisi attuale: “Il 75% del commercio mondiale funziona ancora seguendo le regole dell’OMC”, dice. In occasione del trentennale, la Svizzera e altri 42 Paesi hanno firmato una dichiarazione di sostegno al sistema commerciale multilaterale.

02:58

Il ruolo dell'Organizzazione mondiale del commercio

Telegiornale 10.04.2025, 20:00

Per la maggioranza degli Stati membri, e fra questi la Svizzera, l’OMC e gli impegni presi in seno ad essa sono quindi ancora la soluzione. Per gli Stati Uniti non è più così e in particolare (anche se non esclusivamente) proprio per quanto riguarda i loro rapporti con la Cina. Anche l’UE ha ceduto di recente a tentazioni protezionistiche nei confronti di Pechino (i dazi sulle auto elettriche imposti lo scorso novembre), ma l’indebolimento dell’Organizzazione mondiale del commercio è frutto in larga misura del confronto fra gli Stati Uniti, prima economia mondiale, e la Cina, seconda ma in crescita, tanto che in base ad alcuni parametri ha già operato il sorpasso.

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L'ex ambasciatore svizzero presso l'Organizzazione, Didier Chambovey

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Se la Casa Bianca non si è ancora spinta fino a lasciare l’organizzazione, “si sta comportando come se non ne facesse parte”, ha affermato - interpellato nelle scorse settimane da Swissinfo - l’ex ambasciatore elvetico presso l’organizzazione, Didier Chambovey. Per lui è chiaro che “l’OMC non se la passa affatto bene”. Vediamo perché.

Gli scambi USA-Cina sono il 3% di quelli mondiali

Dal 1948 al 2023 il commercio mondiale è cresciuto di oltre 250 volte, quello di beni è arrivato a valere 24’000 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti contribuiscono per il 13% con le loro importazioni e per l’8,5% con le loro esportazioni. Lo scorso anno Washington ha esportato beni in Cina per 143,5 miliardi di dollari e ne ha importati per 438,9. Gli scambi bilaterali valgono fra il 2 e il 3% del totale globale. La “guerra dei dazi” in corso, con tariffe nei confronti dei prodotti cinesi che Trump ha aumentato successivamente fino al 125% e contromisure equivalenti di Pechino, potrebbero avere importanti conseguenze. Secondo la direttrice dell’OMC Ngozi Okonjo-Iweala, il commercio fra i due Paesi potrebbe ridursi dell’80% e una spaccatura mondiale in due blocchi costerebbe a lungo termine fino al 7% del PIL globale.

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Un operaio al lavoro in una fabbrica di elettronica di Wuxi

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Quanto sta accadendo oggi è strettamente legato al cosiddetto “China Shock”, l’impatto che l’ingresso della Cina nell’OMC (avvenuto nel 2001 dopo lunghi negoziati), ha avuto sul commercio globale e sull’impiego manifatturiero negli Stati Uniti (ma anche in Europa). Il gigante asiatico ha costruito la sua rapidissima crescita sulle esportazioni e ha creato un settore produttivo in grado di fornire beni di qualità se non equivalente quantomeno giudicata soddisfacente, ma a un costo del lavoro nettamente inferiore. Ha indebolito così le concorrenti europee e dall’altra parte del Pacifico e allo stesso tempo le ha attirate affinché producessero (o assemblassero) sul suo territorio.

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Oggi il semaforo è rosso per la risoluzione delle divergenze

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Dalla prima nel 2004, sono 23 le cause intentate dagli Stati Uniti contro la Cina all’OMC, sulle 53 totali che hanno preso di mira le pratiche di Pechino (14 sono dell’Unione Europea). Di controcanto, sono 20 quelle cinesi nei riguardi di Washington. Gli Stati Uniti sono il Paese le cui pratiche sono state contestate con maggiore frequenza: sono i querelati in più di 160 casi sull’arco di questi 30 anni. Si tratta di un quarto del totale delle controversie sottoposte all’organizzazione (ne sono state registrate 638 fino al 4 aprile).

Il più delle volte, hanno dimostrato i ricercatori, i verdetti nelle vertenze bilaterali fra Washington e Pechino hanno dato ragione agli Stati Uniti, ma “in alcuni casi di alto profilo, i cinesi hanno prevalso”, ricorda il già citato ambasciatore Chambovey, “cosa che ha alimentato il malcontento”. Il caso più eclatante - del 2011 - è legato a uno degli aspetti più critici del modello cinese, quello del ruolo dello Stato e quindi della distinzione fra enti (e imprese) pubblici e privati, vitale se si guarda all’applicazione del concetto di sussidio.

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Una nave portacontainer in partenza dal porto di Qingdao

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La pazienza americana si sta esaurendo, secondo un recente rapporto dello U.S. Trade Representative, l’ufficio dell’amministrazione statunitense responsabile dello sviluppo del commercio internazionale. È già da anni, tuttavia, che la tensione fra le due potenze va in crescendo. Già sotto l’amministrazione Obama, che ha individuato nella rivalità con Pechino il focus primario di Washington, poi con i dazi del primo mandato di Trump. L’OMC aveva dato allora torto alla Casa Bianca. Una decisione ignorata completamente da Joe Biden, che anzi ha cercato di restringere l’accesso cinese a tecnologie di punta e ha varato il CHIPS and Science Act e l’Inflation Reduction Act, con i quali l’amministrazione statunitense ha convogliato centinaia di miliardi di dollari verso la ricerca scientifica e la produzione interna di alta tecnologia. In modo discriminatorio, secondo Pechino, che ha puntualmente contestato.

Mentre la Casa Bianca ha iniziato a muoversi sempre più al di fuori del quadro dell’OMC, la Cina ha continuato ad affidarsi a questa istanza internazionale. Cédric Dupont, professore presso il Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra, lui pure interpellato da Swissinfo, afferma che “i cinesi vogliono dimostrare agli Stati Uniti di essere i buoni, dei veri attori multilaterali, al contrario degli USA”. Questo anche perché ritengono che l’istituzione abbia ancora un senso.

Decisiva in futuro sarà l’attitudine degli altri Paesi. Secondo Chambovey, “quello che gli altri membri dell’OMC dovrebbero fare è sostenere il sistema, onorare gli impegni presi e preservare ciò che resta”. “Se riusciranno a rispettarne le regole, l’organizzazione manterrà la sua rilevanza”.

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