Mentre il resto del mondo prova a negoziare con Donald Trump, la Cina non mostra segni di cedimento. E, anzi, continua a rilanciare nonostante il rischio che l’escalation vada fuori controllo. A Pechino parlano di “prova di resistenza” contro quello che viene definito “bullismo unilaterale” degli Stati Uniti. Durante il primo mandato di Trump, il governo cinese aveva atteso a lunga prima di reagire, tentando il dialogo. Ma nei sette anni trascorsi da allora è cambiato molto. Ora la Cina è definitivamente convinta che l’obiettivo del presidente degli Stati Uniti sia il deragliamento della sua economia, o un accordo capestro simile a una resa.
Ecco perché Pechino ha chiarito che intende “combattere fino alla fine”. Dal “Liberation Day” in poi, la Cina ha risposto in maniera del tutto simmetrica ai nuovi dazi di Trump. L’economia cinese ne risentirà, visto il vasto surplus commerciale di 361,1 miliardi di dollari accumulato nell’interscambio con Washington. Eppure, il Partito comunista è convinto di poter resistere.
In che modo? Oltre ai dazi, intende continuare a colpire gli USA con misure multiformi. Da ultimo, il taglio alla quota di film importati da Hollywood. Una mossa a costo zero, che sfrutta il grande successo ottenuto di recente dai titoli autoctoni (e spesso nazionalisti), che pesa però su alcune delle major statunitensi. Attenzione poi ai servizi, in primis su consulenza e finanza, settore in cui gli USA hanno un raro disavanzo positivo. Ma anche a probabili nuove restrizioni all’export di risorse minerarie e prodotti legati alle terre rare. Possibile inoltre lo stop alla cooperazione sul controllo dei flussi di fentanyl e sostanze legate alla produzione dell’oppioide.

Dazi, la Cina pronta a dare battaglia
Telegiornale 10.04.2025, 12:30
Alla base dell’apparente sicurezza c’è la consapevolezza del ruolo centrale ricoperto all’interno delle catene di approvvigionamento. Per spostare la produzione altrove ci vorrà diverso tempo. Lo insegna quanto accaduto negli scorsi anni. Nonostante il processo di delocalizzazione avviato già durante il primo mandato di Trump, ancora circa quattro iPhone di Apple su 5 vengono assemblati in Cina.
La tregua concessa dalla Casa Bianca è invece vista, o raccontata, come un segnale di debolezza. C’è la convinzione che in questo modo le merci cinesi possano continuare a essere esportate in massa in Paesi terzi, per poi essere rivendute negli Stati Uniti. Negli scorsi giorni c’era il timore che questi percorsi alternativi venissero bloccati dai dazi reciproci imposti contro i vari Vietnam, Thailandia o Malaysia. Ora si spera di proseguire a utilizzarli, soprattutto per i prodotti di cui gli Usa non possono fare a meno, nemmeno a prezzi aggiuntivi che la Cina vuole far pagare soprattutto ai consumatori americani.
In che modo? Per esempio svalutando lo yuan, che ieri ha toccato il minimo sul dollaro dal 2007. Ma anche garantendo un vasto pacchetto di stimoli all’economia, come garantito dal premier Li Qiang in un incontro con le imprese private. Nel frattempo, si cercano sponde tra i grandi manager internazionali (radunati di recente da Xi Jinping), i vicini asiatici e l’Europa. Tanto da essere pronta a ridurre o cancellare i dazi imposti ai vicini, accelerando negoziati di libero scambio.
Non mancano però le debolezze. Lo scontro con gli USA colpirà non solo l’economia, ma anche i produttori cinesi, soprattutto quelli con manodopera ad alta intensità. L’impatto si farà inevitabilmente sentire sulla fiducia dei consumatori, che il governo sta provando in qualsiasi modo a stimolare per accelerare il processo di trasformazione del modello di sviluppo teso a ridurre la dipendenza dall’export. Di più. A meno di accordi significativi, l’Europa potrebbe suo malgrado essere costretta a imporre dazi aggiuntivi sulle importazioni dalla Cina, per timore del riorientamento di un flusso troppo elevato di prodotti a basso costo.
Ma Pechino ritiene di avere il tempo dalla sua parte e pensa che, quando l’inflazione si farà sentire negli USA, sarà Trump ad avere fretta di trovare un accordo. Una scommessa rischiosa, ma sulla cui necessità la Cina sente di non potersi permettere dubbi.