Da quando il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato la sua politica di dazi, i contraccolpi in Borsa per le “magnifiche sette” (i sette giganti tecnologici statunitensi a forte vocazione tecnologica che guidano i listini) non sono stati clementi. A preoccupare ulteriormente, sono le ultime indicazioni provenienti dalla Casa Bianca, che ha confermato martedì l’entrata in vigore di dazi al 104% nei confronti della Cina da oggi, 9 aprile.
A farne le spese soprattutto Apple che, come e più di Tesla, è legata a filo doppio alla sua lunghissima filiera di fornitori, soprattutto, asiatici. In cinque giorni ha lasciato sul terreno il 18,9%, pari a 664 miliardi di capitalizzazione.
Come Tesla, Apple è un’azienda manifatturiera con una catena di fornitura molto complessa, lunga e strettamente dipendente da molti paesi asiatici. Con un iPhone che pesa il 50% del fatturato, il gigante tecnologico rischia di vedere finire un’epoca d’oro.
Le sedi produttive di Apple
Oltre il 90% degli iPhone venduti nel mondo proviene dalle fabbriche cinesi delle aziende Foxconn, Luxshare e Pegatron, che si riforniscono a loro volta da una serie di fornitori. In primis la Corea del Sud (Samsung, LG), poi Vietnam, Giappone, India (Foxconn e Wistron) e Taiwan (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company). Ci sono poi gli stessi Stati Uniti, dove l’Apple ha la sua sede, assieme ad altri sviluppatori di componentistica (Qualcomm, Corning e Broadcom).

Fabbrica della Foxconn, produttrice degli iPhone, in Cina in un'immagine d'archivio
Durante la precedente “guerra dei dazi” del 2018, molte aziende hanno infatti deciso di diversificare la propria produzione, spostandola progressivamente dalla Cina verso altri Paesi asiatici, ma anche questi ultimi sono ora colpiti dalle nuove misure di Trump.
Il presidente seguirà un approccio paese per paese nelle eventuali trattative sui dazi
Karoline Leavitt, Portavoce della Casa Bianca il 9 aprile 2025
Il presidente e i suoi funzionari economici hanno promesso che, a seguito dei dazi, numerosi posti di lavoro nel settore manifatturiero sarebbero “rilocalizzati” negli Stati Uniti, dando lavoro a milioni di americani. Questo si scontra però con ostacoli strutturali tra cui costi della manodopera (anche dieci volte superiori ai costi da affrontare nei Paesi asiatici) e la carenza di personale qualificato.
Produrre negli USA? “Una storia di fantasia”
Il prezzo di un iPhone infatti potrebbe salire a circa 3’500 dollari se fosse prodotto negli Stati Uniti. Lo stimano esperti di tecnologia alla CNN. Secondo Dan Ives, responsabile globale della ricerca tecnologica presso la società di servizi finanziari Wedbush Securities, l’idea è una “storia di fantasia”.

Entrata di unApple Store sulla Fifth Avenue a New York (USA)
Gli iPhone prodotti negli Stati Uniti potrebbero costare più di tre volte il loro prezzo attuale di circa 1’000 dollari, ha spiegato, perché sarebbe necessario replicare l’ecosistema produttivo altamente complesso attualmente esistente in Asia. “Se si costruisce questa catena di approvvigionamento negli Stati Uniti con una fabbrica in West Virginia e nel New Jersey, si tratterebbe di iPhone da 3’500 dollari”, ha detto, riferendosi agli impianti di fabbricazione. E anche in questo caso, trasferire solo il 10% della propria catena di approvvigionamento negli Stati Uniti costerebbe ad Apple circa 30 miliardi di dollari e tre anni.
Quali gli effetti sui prezzi al consumo?
L’azienda di Cupertino, secondo gli analisti, si trova di fronte a due opzioni: sostenere i costi aggiuntivi, che si rifletteranno sul suo margine di profitto, o scegliere di aumentare i prezzi dei dispositivi per coprire l’aumento dei costi di produzione.

Nuovi modelli di iPhone 16 presentati il 9 settembre 2024 presso il campus di Apple Park a Cupertino, California, USA
La prima opzione, vista l’ampiezza delle cifre, sembra altamente improbabile. E se Apple decidesse di riversare i costi sui consumatori, un iPhone di ultima generazione potrebbe costare il doppio.
A questi, problemi, per l’azienda di Cupertino si aggiungono problemi di vendita: la domanda dei suoi prodotti nei mercati chiave di Stati Uniti, Cina ed Europa è da tempo in diminuzione.

Dazi: il punto e le prospettive
Telegiornale 07.04.2025, 20:00