Non è un’esagerazione dire che l’aumento dell’età pensionabile in Cina è una novità epocale. Non solo perché è la prima volta che il governo della Repubblica Popolare compie una riforma delle pensioni dagli anni Cinquanta, quando al potere c’era ancora Mao Zedong e si era nella primissima fase dell’era del Partito comunista. La regione è anche che, almeno da fine anni Settanta, tra i pilastri alla base dell’azione del Partito ci sono sempre stati due pilastri più solidi degli altri. Primo: i figli staranno meglio dei genitori, così come i genitori sono stati meglio dei nonni. Secondo: le riforme economiche miglioreranno le condizioni di vita. Ora, però, questi pilastri sembrano essere improvvisamente meno solidi.
La fase di deflazione
Prima il rallentamento della crescita, con fiducia e consumi mai ripartiti davvero dopo il Covid e il Paese che pare entrato in una fase di deflazione. Poi l’aumento della disoccupazione giovanile, che a luglio è salita al 17,1%, con diversi esponenti delle nuove generazioni che iniziano a guardare con pessimismo al proprio futuro. E ora l’aumento dell’età pensionabile, una mossa che rompe quello che sembrava a tutti gli effetti un tabù per il Partito comunista.
La riforma entrerà in vigore il 1° gennaio 2025 e prevede un aumento graduale. Per gli uomini si passerà dai 60 anni attuali ai 63 anni entro il 2040. Per le donne si passerà invece da 50 a 55 anni per gli impieghi nel settore manifatturiero e operaio e da 55 a 58 anni per gli altri impieghi. Non sarà possibile andare in pensione prima dell’età prevista dalla legge, al contrario si potrà invece ritardare il pensionamento di non più di tre anni.
I contributi
Non è tutto. A partire dal 2030, inoltre, i dipendenti dovranno versare più contributi al sistema di previdenza sociale per poter ricevere la pensione. Entro il 2039, dovranno accumulare 20 anni di contributi per andare in pensione. Il piano di innalzamento dell’età pensionabile e di adeguamento della politica pensionistica si basa su “una valutazione completa dell’aspettativa di vita media, delle condizioni di salute, della struttura della popolazione, del livello di istruzione e dell’offerta di forza lavoro in Cina”, sostiene l’agenzia di stampa Xinhua. I media di Stato cercano di prevenire critiche. “La riforma è una scelta necessaria e razionale”, scrive il Quotidiano del Popolo. Che non manca di sottolineare che l’età pensionabile resta comunque nettamente inferiore a quella della maggior parte delle economie sviluppate. Nel 2022, l’età media effettiva di uscita dal mercato del lavoro era in effetti di 64,4 anni per gli uomini e 63,1 anni per le donne nei Paesi OCSE.
Erano ormai diversi anni che si paventava la possibilità di aumentare l’età pensionabile, anche se il governo fin qui lo aveva sempre evitato. Si tratta d’altronde di una strategia usuale da parte del Partito, che spesso lascia trapelare delle anticipazioni su ipotesi di riforma per studiare le reazioni dell’opinione pubblica. Ed eventualmente rimodulare, almeno in parte, i programmi. A un certo punto, però, il presidente Xi Jinping ha deciso che non si poteva più aspettare. Il segnale che la riforma era imminente è arrivato a luglio, quando al terzo Plenum del Partito (evento quinquennale in cui si fissano le politiche economiche dei cinque anni successivi) la riforma delle pensioni era stata menzionata tra gli obiettivi programmatici.
Una popolazione che invecchia
A convincere la leadership della necessità della svolta ci sono stati diversi fattori, che combinati lasciavano intravedere un imminente collasso del sistema pensionistico e di welfare. Primo: il netto aumento dell’aspettativa di vita dei cinesi, passati dai 57 anni del 1957 (dato poi persino peggiorato durante la grande carestia degli anni successivi) ai 78,6 anni attuali. Secondo: il calo demografico, iniziato nel 2022 in netto anticipo rispetto alle previsioni. Si stima che entro il 2035 i cittadini cinesi con più di 60 anni saranno più di 400 milioni, rispetto ai 280 milioni attuali. Nel prossimo decennio, circa 300 milioni di persone, che attualmente hanno tra i 50 e i 60 anni, lasceranno la forza lavoro. Un numero quasi equivalente all’intera popolazione degli Stati Uniti.
Tutto questo sta aumentando a dismisura il cosiddetto “indice di dipendenza”, un dato che misura la pressione sociale contando il numero di persone di età superiore ai 65 anni rispetto al numero di lavoratori sotto i 65 anni. Nel 2022 questo numero era pari al 21,8%, il che significa che circa cinque lavoratori dovrebbero sostenere un pensionato. Ma il dato è destinato ad aumentare in maniera piuttosto netta. Basti pensare che nel 2019, dunque prima del Covid, uno studio dell’Accademia cinese delle scienze sociali sosteneva che entro il 2035 il fondo pensionistico statale avrebbe rischiato di finire i fondi. Una stima che dopo tutto quello che è successo in questi anni appare ora ottimistica.
Da qui l’urgenza dell’intervento sull’età pensionabile. Secondo alcuni esperti, la correzione di rotta causerà qualche contraccolpo a breve termine, in un momento in cui la disoccupazione giovanile è già elevata. Ma l’opinione unanime, considerando anche che l’età pensionabile resterà più bassa di molte altre economie sviluppate, è che la riforma era una scelta necessaria. Certo, potrebbe contribuire al pessimismo dei cinesi che temono che il futuro sarà peggiore del recente passato. E che, dunque, questa sarà solo la prima di una serie di riforme delle pensioni.