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I quattro di Visegrad

Polonia, Ungheria, Slovacchia e Cechia: perché si parla tanto di loro e qual è la loro rilevanza per il conflitto in Ucraina

  • 3 ottobre 2023, 05:57
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L'ultimo incontro del 26 giugno: da sinistra l'ungherese Viktor Orban, il ceco Petr Fiala, lo slovacco Ludovit Odor (la prossima volta probabilmente ci sarà Robert Fico) e il polacco Mateusz Morawiecki

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Di: Stefano Grazioli

Il gruppo Visegrad, noto anche come V4, è costituito da quattro Stati dell’Europa centrale: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Non ha una struttura formale o istituzionale, ma è in sostanza un’alleanza semi-ufficiale all’interno dell’Unione Europea, una piattaforma in cui i quattro Paesi scambiano informazioni e coordinano posizioni politiche. Il suo nome deriva dalla città ungherese di Visegrad, dove per la prima volta il 15 febbraio 1991 si ritrovarono i presidenti di Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria per concordare obbiettivi comuni, sullo sfondo della dissoluzione dell’URSS e della Cortina di ferro. Nel 1993 Cechia e Slovacchia divennero due Stati indipendenti e nel 2004 tutti entrarono nell’Unione Europea. Nel 1999 Polonia, Cechia e Ungheria erano già entrate nella NATO, la Slovacchia arrivò nel 2004. Da allora le sorti del gruppo sono andate a corrente alternata e in seguito all’invasione russa dell’Ucraina il V4 e i singoli Paesi hanno assunto particolare rilevanza, essendo confinanti, tranne la Cechia, con l’ex repubblica sovietica in guerra. Da qui l’importanza delle vicende interne e dei possibili mutamenti di posizione nel contesto europeo.

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Slovacchia

L’esempio più recente è quello della Slovacchia, dove le elezioni parlamentari dello scorso fine settimana hanno decretato la vittoria di Smer, partito della sinistra populista guidato da Robert Fico, già due volte premier lo scorso decennio. Considerato filorusso dalla stampa estera, in realtà anche da primo ministro si è sempre associato alle sanzioni contro Mosca a partire dal 2014 e ha accompagnato il Paese nell’entrata nell’euro già dal 2009. La posizione sul conflitto in Ucraina è ambigua, basti pensare alla questione del grano, con il blocco dei confini di fronte all’import di cereali provenienti da Kiev e la concorrenza considerata sleale nei confronti dei propri prodotti, già per altro sostenuta dal vecchio Governo, oppure alle forniture di armi di cui vuole lo stop. Il prossimo Governo a Bratislava, ammesso e non concesso che sarà guidato da Fico, sarà in ogni caso un Governo di coalizione e il premier dovrà smussare gli angoli, al di là del fatto che in politica estera l’appartenenza del Paese a UE e NATO lascia poco spazio alle iniziative indipendenti. È però strategia dei populisti quella si soffiare su temi di facile presa sull’elettorato, soprattutto in tempi di crisi.

Ungheria

Stesso discorso può essere fatto per l’Ungheria di Viktor Orban, considerato un po’ la pecora nera dell’Unione Europea. Anche in questo caso i buoni rapporti con la Russia hanno ragioni interne, in particolare con riferimento alla questioni energetiche e alla cooperazione sul terreno del nucleare. I toni nazionalisti, quelli duri contro l’immigrazione e le critiche nei confronti di Bruxelles su quelle che sono considerate ingerenze nella politica interna, a esempio sullo stato di diritto o la libertà di stampa, sono funzionali più al mantenimento del potere e del consenso interno che all’idea di ridisegnare gli equilibri europei a favore della Russia. Il fatto che il governo ungherese, populista di destra, possa trovare forse un alleato in quello nuovo slovacco, populista di sinistra, non cambierà i pesi nell’UE né renderà il gruppo di Visegrad più potente, dato che su certe questioni come immigrazione e grano l’allineamento già c’era e il potere contrattuale nei confronti di Bruxelles rimarrà lo stesso. Il tema della armi all’Ucraina è in definitiva secondario in questa fase del conflitto, dove quello che Bratislava poteva dare ha dato e l’importanza è quella di Paese di transito per le forniture in arrivo da altrove.

Polonia

Anche a Varsavia governano i populisti di destra e l’atteggiamento critico nei confronti di Bruxelles è la regola, un po’ come a Budapest. In Polonia si voterà per le elezioni parlamentari il 15 ottobre e molto di quello che si è visto nelle scorse settimane deve essere valutato nella prospettiva elettorale, anche e soprattutto le frizioni con l’Ucraina sul tema, anche qui, del grano e delle armi. In realtà Varsavia è il più importante alleato di Kiev e il coordinamento militare avviene sotto la regia della NATO, per cui non si devono temere scossoni nei rapporti tra i due Paesi, tanto meno dopo la prossima tornata elettorale, dove i sondaggi della vigilia danno il Pis del premier Mateusz Morawiecki saldamente in testa, anche se in perdita rispetto al voto del 2019. All’interno del V4 la Polonia è lo Stato, per così dire, più pesante, e il suo ruolo sulla scacchiera europea è cresciuto proprio con l’avvio della guerra in Ucraina.

Cechia

È il membro di Visegrad di cui al momento si parla meno, dove il governo guidato dal moderato Peter Fiala del Partito democratico fa poco rumore, rispetto ai suoi colleghi tra Varsavia, Bratislava e Budapest. Fiala guida una coalizione variegata da ormai quasi due anni ed è preoccupato soprattutto sul versante interno, dato che la posizione geografica e l’assenza di confini con l’Ucraina non lo rendono un attore primario di questi tempi.

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