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Il Bel Paese e la sua legge "porcellum"

Viaggio nelle elezioni in salsa italiana

  • 26.02.2013, 17:07
  • 06.06.2023, 11:44
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Premio di maggioranza, sbarramento, “porcellum”, liste bloccate, 4%, 10%, e chi più ne ha più ne metta. Tanti di quei numeri e definizioni che per comprendere in pieno il sistema elettorale italiano servirebbe farne un breviario.

Porcellum

Ma andiamo con ordine. L’attuale legge elettorale è stata introdotta alla fine del 2005 dall’allora ministro per le riforme del Governo Berlusconi Roberto Calderoli, e lui stesso la tacciò di “porcata”; per questo motivo i politologi italiani le diedero il nome di porcellum.

Fin dalla sua introduzione, società civile, partiti e cariche istituzionali vi si scagliarono contro, ma nessun Governo o Parlamento è finora riuscito a modificarla. Le ultime critiche di peso sono di poche ore fa e sono quelle del premier uscente e “capitano” della formazione centrista Mario Monti, che commentando a caldo il suo (molto debole) risultato – solo il 10, 56% per la sua coalizione per la Camera, ed il 9,13 % per la lista unica Con Monti per l’Italia al Senato – si è scagliato contro "il peso esorbitante" del premio di maggioranza e l'incapacità dei partiti di modificare la legge. Un'altra esponente del Governo dei tecnici, l’attuale ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri, ha affermato ieri sera in sala stampa al Viminale che ''Ci sono state tante polemiche e critiche, se ne sono sentite talmente tante che non possiamo che sottoscriverle tutte''. Anche Oscar Giannino, il dandy ultraliberista di Fare per Fermare il declino (la cui formazione non ha ottenuto il quorum in nessuno dei due rami del Parlamento), si espresso ieri su Twitter con un messaggio che invocava una nuova legge elettorale.

Premio di maggioranza

L’aspetto più controverso del porcellum, oltre alle liste bloccate che non consentono agli elettori di dare preferenze ai candidati, è molto probabilmente il premio di maggioranza. Alla Camera dei deputati il premio è calcolato su base nazionale e garantisce al partito o coalizione più votati il 55% dei seggi, ossia 340. Da questo punto di vista i democratici di Pierluigi Bersani e partiti coalizzati possono stare tranquilli: nonostante abbiano superato l’asse Pdl-Lega di soli 0, 36 punti percentuali (rispettivamente il 29, 54% dei voti contro il 29,18), il premio garantirà al centrosinistra 340 seggi contro i 124 degli uomini di Berlusconi. Il premio alla Camera è stato pure d’aiuto a Bersani nei confronti dello “tsunami” a 5 stelle. Se quello di Beppe Grillo è stato il partito (pardon, movimento) più votato con il 25,55% delle preferenze, il Pd ha potuto contare sul 3,20% dei voti dati a Sel di Nichi Vendola e sui voti dati a Centro democratico e SVP, portando la coalizione di centrosinistra a quota 29,54%.

Tutt’altra musica in Senato, rimasto senza padroni. Qui il premio di maggioranza è calcolato su base regionale: in ogni regione (ad eccezione del Molise e della circoscrizione Estero) il 55% del numero di senatori corrisposti viene concesso a chi ha arraffato più voti. Ne consegue che in questa tornata elettorale la partita si è giocata soprattutto nelle regioni popolose e in bilico di Lombardia, Sicilia e Campania. La coalizione Pdl-Lega se le è aggiudicate tutte e tre e per diverse ore si è creduto che avesse la maggioranza in Senato, tanto che Alfano ad un certo momento ha pure esultato dichiarando che la probabile maggioranza a Palazzo Madama era un “risultato straordinario”. Ma la disputa tra il centrodestra e il centrosinistra si è giocata fino all’ultimo: vincendo quest’ultimo in Piemonte, Bersani e compagni si sono aggiudicati 120 seggi, soli tre in più rispetto agli uomini del Cavaliere. Magra consolazione, per governare in Senato servono 158 seggi, e nessun partito o schieramento li ha ottenuti.

Soglie di sbarramento

È forse su questo tema che la legge elettorale incide maggiormente. Esistono diverse soglie di sbarramento, che oltretutto cambiano tra i due rami del Parlamento: alla Camera le coalizioni devono raggiungere il 10%, e questa soglia ha fatto tremare per un momento Monti & Co., attestatisi al 10,56% ma dati a lungo sotto la soglia del quorum. In Senato la soglia per le coalizioni si alza al 20%, e questo numero non avrebbe lasciato scampo a Monti, Fini e Casini, che sono tuttavia riusciti ad ovviare il problema presentando in una lista unica denominata Con Monti per l’Italia. Presentandosi in questo modo sono apparsi formalmente come un unico partito, in questo caso per aggiudicarsi almeno un seggio al Senato dovevano superare lo sbarramento dell’8%: loro si sono posizionati a quota 9,13.

Sempre alla Camera, per ottenere un rappresentante in Parlamento sono necessari almeno il 4% dei voti per i singoli partiti ed il 2% per i partiti che fanno parte di una coalizione. A queste percentuali si aggiunge il premio per il "miglior perdente": all'interno di una coalizione il primo partito al di sotto della soglia del 2% entra alla Camera, indipendentemente dalla percentual ottenuta; questa "postilla" ha salvato un nome radicato da decenni nel panorama politico italiano: Pier Ferdinando Casini. La sua Udc ha ottenuto l'1,8% dei voti, aggiudicandosi così la medaglia d'argento nella coalizione centrista.

Oltre a Gianfranco Fini, che alla Camera con il suo Fli ha racimolato solo lo 0,5%, fra i silurati di peso troviamo Antonio Ingroia con l’amico Di Pietro (Rivoluzione civile), e Oscar Giannino (Fare), che con il loro 2,25 e 1,12 % a Montecitorio, e 1,79 e 0,90% a Palazzo Madama sono rimasti formalmente fuori dai giochi.

Ludovico Camposampiero

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