Quando Donald Trump ritornerà alla Casa Bianca il 20 gennaio - come 47esimo presidente degli Stati Uniti dopo essere già stato il 45esimo - potrà mettere in atto il proprio programma contando su una maggioranza repubblicana sia al Senato che alla Camera dei rappresentanti. È una certezza da mercoledì sera, quando i network statunitensi hanno annunciato le vittorie dei candidati alla Camera del “partito dell’elefante” in un distretto californiano e in uno dell’Arizona.
I successi gli hanno garantito almeno 218 delle 435 poltrone, mentre i democratici sono fermi a 208 e 9 corse sono ancora aperte perché il conteggio dei voti non è ancora concluso. La Camera era già sotto il controllo dei repubblicani, che hanno sottratto 7 seggi ai rivali perdendone invece 6, diventati da “rossi” a “blu” sulla mappa. Gli equilibri dovrebbero rimanere sostanzialmente immutati. Lo speaker sarà ancora con ogni probabilità Mike Johnson, che formalmente dovrà ricevere 218 voti in gennaio (il nuovo Parlamento sarà in funzione dal 3 del mese) ma può contare sull’endorsement di Trump.
Già da giorni si sa invece che il Senato ha cambiato padrone, dopo essere stato di misura democratico: si rinnovava un terzo dei 100 seggi, 34 in tutto, e i repubblicani hanno difeso quelli già loro sottraendone nel contempo tre ai democratici. Sono quindi a 52 contro 47 con un seggio ancora da assegnare in Pennsylvania, dove Dave McCormick (R) e Bob Casey (D) sono separati al momento da poco più di 26’000 voti, meno di mezzo punto percentuale a vantaggio del primo. Il secondo è uscente e quindi i democratici perderebbero, se sconfitto, un quarto seggio.
Il controllo del Senato è particolarmente importante anche perché ad esso spetta la conferma di molte delle nomine annunciate da Trump. E potrebbero costituire un test della fedeltà a Trump il voto sull’ultimo nome comunicato dal magnate, quello del 42enne deputato della Florida Matt Gaetz a ministro della giustizia. Gaetz, populista e ultraconservatore, è inviso anche a molti repubblicani per aver orchestrato la cacciata dell’ex speaker della Camera Kevin McCarthy.