*Dal collaboratore RSI a Londra
Dimmi che badge hai, e ti dirò chi sei. Tra atleti, media, giudici, raccattapalle e ospiti, sono circa 10'000 gli accrediti distribuiti dagli organizzatori. I colori contraddistinguono i diversi ruoli, le sigle di fianco alla foto il prestigio del titolare. Viene consegnato il primo giorno, assieme all’ambita borsa di Wimbledon, subito rivenduta su Ebay. Il primo garantisce ai più fortunati un posto anche sul Centrale; la seconda dispensa insperati introiti, invariabilmente dissipati nei modi più lascivi.
Per le due settimane del torneo, il badge è un succedaneo del passaporto: è vietato separarsene. Per averlo sempre con sé, viene infilato in ingombranti buste trasparenti che penzolano ai colli di chiunque non sia uno spettatore. Un’affiliazione che stabilisce la casta, il privilegio d’ingresso senza passare da code o bagarini. I badge di colore rosso sono quelli dei tennisti/e, inevitabilmente i più ammirati. E che regalano attimi di insperata notorietà anche ai ragazzini del torneo juniores, destinati ad una carriera di onesti palleggiatori da Club Med. E’ vezzo diffuso, e deroga accolta, lasciare agli atleti la facoltà di fissare l’accredito alla sacca porta-racchetta, consentendo loro l’affrancamento dal campanaccio identificativo.
Il giallo è il colore dei coach, palleggiatori, accompagnatori. Il grigio di chi calpesta i campi, giardinieri e ball boys/girls, mentre a chi lavora in tv viene assegnato il verde. Un obsoleto marrone rimarca l’anacronismo della carta stampata, l’unica a passare inosservata tra i curiosi che buttano l’occhio e gli insolenti che pretendono l’auto-identificazione. Ma - come da lezione di Coco Chanel - l’abito non è tutto, conta il modo d’indossarlo. Ecco allora la variante trasversale, adottata dagli scanzonati che indossano l’accredito come il borsello del nonno. Un vezzo lungamente pensato.
*Lorenzo Amuso