Geopolitica vaticana

Il ritorno di Francesco dall’Asia, dove la Chiesa ha un futuro

Si è chiuso il 45esimo viaggio apostolico di Papa Bergoglio, il più lungo dall’inizio del suo Pontificato - Sul volo di ritorno l’affondo sulle elezioni Usa: “Tra Harris e Trump? Ambedue sono contro la vita”

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Il Papa termina il viaggio in Asia

Telegiornale 13.09.2024, 12:30

  • Keystone
Di: Paolo Rodari

Se la Chiesa cattolica ha un futuro, questo non sembra essere nella vecchia Europa, stanca e in crisi di identità, quanto nell’Est Asiatico. È anche questa suggestione che consegna al mondo il 45esimo viaggio apostolico di Papa Francesco, il più lungo dall’inizio del suo Pontificato.

Dal 2 al 13 settembre 2024 il Pontefice argentino ha visitato quattro Paesi: Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor-Leste e Singapore, pronunciando dodici discorsi e quattro omelie, spostandosi con sette voli aerei. E ha incontrato una popolazione giovane ed entusiasta della fede come difficilmente si trova in Europa e più in generale in Occidente. “Profondo senso di gratitudine”, non a caso, è stato il messaggio espresso dal Papa nel telegramma inviato al presidente della Repubblica di Singapore Tharman Shanmugaratnam poco prima della partenza, gratitudine “per la calorosa accoglienza e la generosa ospitalità”.

La “joint declaration” di Giacarta

Nella multietnica Indonesia, in cui vige la visione dell’“unità nella diversità”, il Papa ha sancito importanti condivisioni sul piano del dialogo interreligioso, sottoscrivendo col grande imam della Moschea Istiqlal - collegata con la cattedrale cattolica dal “tunnel dell’amicizia” - una “joint declaration” che consolida il percorso partito da Abu Dhabi col Documento sulla tolleranza umana co-firmato col grande imam di Al-Azhar. Una dichiarazione, quella di Giacarta, che impegna le religioni a isolare estremismi e fondamentalismi, a non fomentare guerre, odi e divisioni, e a farsi anzi strumenti per sconfiggere insieme la “cultura della violenza”.

Nella foresta di Vanimo

In Papua Nuova Guinea, paese a maggioranza cristiana e dove i cattolici sono il 30%, oltre all’appello globale di “pace per le Nazioni, e anche per il creato” - quindi alla salvaguardia del pianeta dalla crisi climatica e dallo sfruttamento selvaggio delle risorse - anche la toccante visita nella realtà indigena e tribale di Vanimo, tra la foresta pluviale del nord, a sostegno dell’opera di missionari da Francesco già conosciuti e di un’esemplare abnegazione, rappresentanti di una Chiesa che più povera non potrebbe essere.

La purificazione della memoria a Timor Est

Nella piccola Timor Est, ex colonia portoghese, indipendente dal 2002 dopo la lunga guerra di liberazione dall’occupante Indonesia, l’abbraccio corale di un cattolicesimo che ha la più alta percentuale al mondo - il 98% della popolazione - e delle 600mila persone che hanno partecipato alla messa sulla spianata di Taci Tolu, quasi la metà degli abitanti dell’intero Paese. Proprio il processo di pace e riconciliazione, e di “purificazione della memoria”, fortemente voluto con l’Indonesia è stato eretto qui dal Papa ad esempio da seguire per tutti i Paesi in conflitto nel mondo.

L’affondo sulle elezioni americane

Sul volo di ritorno non è mancata la consueta conferenza stampa coi giornalisti. Francesco è intervenuto sulle elezioni Usa: “Tra Harris e Trump? Ognuno scelga il male minore, ambedue sono contro la vita”, ha detto riferendosi all’aborto e ai respingimenti dei migranti. Il Vescovo di Roma ha parlato anche del conflitto in Medio Oriente e della tragedia dei civili ammazzati: “Guerra a Gaza? È troppo! Non si fanno passi per la pace”. Mentre su Pechino e la collaborazione per la riconciliazione ha afferamato: “La Cina per me è un’illusione, mi piacerebbe tanto andarci. Quel grande Paese è una speranza e una promessa per la Chiesa. L’accordo sulla nomina dei vescovi? Il risultato è buono”.

Papa Francesco è in Indonesia

Telegiornale 03.09.2024, 12:30

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