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La Corte Suprema dibatte dell’ineleggibilità di Trump

Gli analisti ipotizzano che i 9 giudici possano trovare una “scappatoia” per l’ex presidente, senza avventurarsi nel campo minato della qualificazione delle sue azioni durante l’assalto al Campidoglio

  • 8 febbraio, 16:54
  • 10 luglio, 13:45
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Un manifestante davanti alla Corte Suprema espone i cartelli: "Trump ha diretto una rivolta" e "Trump è un pericolo per tutti noi"

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Di: AFP/RSI Info 

Le azioni di Donald Trump durante l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 lo rendono ineleggibile? I nove giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti tentano giovedì di dirimere questa questione esplosiva, a meno di nove mesi dalle elezioni presidenziali.

L’ex presidente, che è il favorito assoluto nelle primarie repubblicane, sta cercando di ribaltare una decisione della Corte Suprema del Colorado, che ha escluso Trump dal voto in questo Stato occidentale. I consulenti legali discutono sulla validità e sull’opportunità politica di una simile procedura, ma tutti concordano sul fatto che la Corte Suprema USA, a maggioranza conservatrice, scottata dalle conseguenze della sua decisione del 2000 che ha dato la vittoria al repubblicano George W. Bush sul democratico Al Gore, vorrà evitare di cedere ai sospetti di interferenze elettorali.

Dei circa venti Stati in cui sono stati presentati ricorsi per ineleggibilità contro Donald Trump, solo due hanno avuto successo, in Colorado e nel Maine. Diversi Stati sono ancora in attesa della sentenza definitiva della Corte Suprema.

Gli avvocati di Donald Trump hanno definito la decisione del Colorado “un’anomalia” e chiedono alla Corte Suprema di annullarla per “proteggere i diritti di decine di milioni di americani che desiderano votare per il presidente Trump”; dedicano la maggior parte delle argomentazioni scritte finali a una questione apparentemente secondaria. Cercano di dimostrare che la presidenza degli Stati Uniti non è una delle cariche coperte dal 14° emendamento della Costituzione. Questo emendamento, adottato nel 1868, era rivolto ai sostenitori della Confederazione del Sud sconfitta nella guerra civile americana (1861-1865). Esso escludeva dalle più alte cariche pubbliche chiunque avesse compiuto atti di “ribellione” dopo aver giurato di difendere la Costituzione. La Corte suprema del Colorado ha stabilito che le azioni di Trump del 6 gennaio 2021 rientrano nell’ambito di applicazione del 14° emendamento. Quel giorno, centinaia di sostenitori del presidente in carica, infervorati in particolare dalle sue accuse di frode elettorale, presero d’assalto il Campidoglio, santuario della democrazia americana, nel tentativo di impedire la certificazione della vittoria del suo avversario democratico, Joe Biden.

Gli avvocati di Donald Trump sostengono che quella del 6 gennaio 2021 non fu una ribellione e che il loro assistito non fu in alcun modo coinvolto.

La natura ampiamente inedita del caso complica qualsiasi previsione, ma molti esperti ritengono che i nove giudici siano tentati di trovare una “scappatoia” per mantenere il nome di Trump sulla scheda elettorale, senza avventurarsi nel campo minato della qualificazione delle sue azioni durante l’assalto al Campidoglio.

“In un caso politicamente così scottante, la Corte vuole apparire il più apolitica possibile”, ha dichiarato Steven Schwinn, professore di diritto costituzionale all’Università dell’Illinois a Chicago, sostenendo che “porta ancora le cicatrici delle elezioni del 2000”. A suo avviso, “la via d’uscita più probabile per lei sarebbe quella di affermare che solo il Congresso ha il potere di rimuovere un candidato dalla scheda elettorale per le elezioni presidenziali”.

Questa argomentazione è stata avanzata anche dagli avvocati di Trump, ma è contestata dagli esperti legali che sottolineano come non sia necessario l’intervento del Congresso per applicare altre condizioni di eleggibilità, come l’età minima dei candidati o il loro luogo di nascita. “Comprendiamo perfettamente che i membri della Corte preferirebbero non trovarsi coinvolti in questo modo in un’elezione presidenziale. Ma non c’è modo di evitarlo”, scrivono in una memoria tre illustri giuristi di diversa estrazione politica. Edward Foley, Benjamin Ginsberg e Richard Hasen esortano i nove giudici a pronunciarsi sul merito e non su questioni di forma, in modo da tagliare definitivamente il nodo gordiano prima del giorno del voto del 5 novembre. Altrimenti, avvertono, “con un Paese più polarizzato che mai nella storia recente”, corriamo il rischio di “un’instabilità politica che non si vedeva dai tempi della guerra civile americana”.

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