L’età dei candidati-simbolo alle prossime elezioni presidenziali USA è un tema su cui discutono da tempo non solo gli analisti politici e gli studiosi di scienze sociali, ma anche l’elettorato statunitense (e i cittadini del resto del mondo). L’attuale presidente democratico Joe Biden ha 81 anni, il suo rivale repubblicano Donald Trump 77, così sempre più persone si chiedono perché la “più grande democrazia del mondo” sembri ormai rassegnata a non avere alternative rispetto al fatto di doversi affidare a candidati presidenziali così avanti con l’età e se questo possa minare la stessa credibilità di un sistema che si dice democratico, in un momento storico nel quale si presenta come ultimo baluardo alle autocrazie. La RSI ha intervistato in proposito Andrew Spannaus (giornalista e analista politico, esperto di Stati Uniti).
“Un ritorno di Trump alla Casa Bianca, che pur merita un riconoscimento per alcuni cambiamenti importanti compiuti durante il suo mandato, rappresenta una minaccia per le Istituzioni in termini di democrazia. L’età di Biden rende nettamente più difficile la sua conferma in una situazione dove esiste una preoccupazione istituzionale. Fare il presidente degli Stati Uniti (come fare il presidente del Consiglio, il primo ministro di un qualsiasi altro Paese), è un lavoro molto impegnativo, ancora di più quando sei il Paese più grande, più forte dell’Occidente. Richiede un grande impegno, soprattutto richiede una chiarezza mentale e la possibilità di prendere decisioni difficili. Se Biden davvero avesse un deterioramento delle facoltà mentali, questo sarebbe preoccupante per il Paese”, spiega Spannaus.
“Trump porta meglio i suoi anni (nonostante, a vederlo, sia chiaramente meno in salute fisicamente, nel senso che presenta più fattori di rischio di Biden), Biden sembra nettamente più vecchio e a volte sembra confuso, sembra dimenticare le cose. Anche Trump, però, è vecchio. Il problema è che già il suo modo di parlare spesso è poco coerente. Capire quanto sia “normale” e quanto sia invece un invecchiamento delle sue facoltà mentali non è così facile. Molti dei suoi oppositori cercano di sottolineare aspetti incoerenti del suo linguaggio, per dire che anche lui ha questo problema”.
Gli elettori cosa pensano dell’età dei candidati? Cosa dicono gli ultimi sondaggi? Ad aprile 2023 ABC News e Washington Post vedevano Biden in difficoltà, con la maggioranza degli intervistati che lo riteneva troppo avanti con l’età. Addirittura il 58% degli elettori democratici ad aprile chiedeva un altro candidato.. e adesso?
“Adesso ancora di più. Ancora di più. In realtà 2/3 della popolazione dice che ci vorrebbero altri candidati rispetto a Biden e Trump (Biden più per l’età, Trump per le sue evidenti pecche). Questo è un problema. Biden e la sua squadra pensano di affrontarlo dimostrando innanzitutto il pericolo di Trump e cercando di sottolineare le cose positive fatte. Non è facile. Dovranno, secondo me, soprattutto tracciare una strada per il futuro, cioè un’alternativa. Dire che: “non siamo riusciti a fare tutto quello che volevamo fare”. E pensare al futuro. Quanto risulterà credibile con un Biden che arriverebbe a 85/86 anni, questo rimane da vedere. I sondaggi di oggi danno delle indicazioni, in alcuni casi poco credibili, di un sostegno molto alto a Trump tra gli afroamericani e tra i giovani , che probabilmente lascia in realtà spazio per un recupero di Biden in questi settori della popolazione”.
Secondo lei è scontato che ci ritroveremo con Biden contro Trump o potrebbero esserci sorprese?
“È probabile. Ma non è sicuro. Possono succedere diverse cose. Intanto bisogna vedere quando Trump andrà al primo processo penale: non è tecnicamente per l’assalto al Congresso, ma per aver cercato di ribaltare l’esito del voto, per aver fatto pressioni sui funzionari. Queste sono le accuse che verosimilmente saranno confermate dalle prove; Trump neanche si difende nei fatti, si difende solo a livello politico. Gli rimane una speranza procedurale, la Corte Suprema o qualche errore oppure un giurato pro-Trump. Tutto può succedere, però è probabile che sarà condannato a livello penale (e la condanna non è di 1 o 2 anni, ma tra 10 e 20). Se Trump andrà effettivamente a processo a marzo/aprile rimarrà candidato, però la pressione su di lui per ritirarsi o per cercare di cambiare candidato prima della fine delle primarie sarebbe alta. Dall’altra parte un’uscita di scena di Trump, agevolerebbe Biden: con la scusa di un problema di salute o di qualcos’altro potrebbe anche lui lasciare spazio ad altri. Sono scenari fantasiosi, per il momento, ma non impossibili”.
Tornando all’età, c’è chi auspica la necessità di far certificare le qualità intellettive, le capacità di un candidato…
“C’è una discussione in questo senso, ma è una discussione più che altro retorica da parte di alcuni candidati: la repubblicana Nikki Haley dice che bisognerebbe sottoporre i candidati a test delle facoltà mentali, ma per ora non esiste niente del genere negli USA. C’è solo una tradizione: quando il presidente è in carica rende pubblici tutti i referti medici e gli esami, per dimostrare di essere in buona salute. Però l’esame psichico non si fa. Trump dice che lui è perfetto, è a posto, e che Biden dovrebbe invece dimostrare di esserlo…”.
Quali sono i meriti di Trump e Biden?
“Nonostante ci siano tanti altri potenziali candidati giovani, è importante ricordare l’importanza per il Paese, sia di Trump sia di Biden. Trump ha avviato un grande cambiamento rispetto alla globalizzazione. Ha riportato lo Stato più al centro dell’intervento economico. In parte proprio per un motivo politico (cioè cercare di riportare la manifattura nel Paese e quindi contrastare di più gli abusi di mercato della Cina) e in parte per la pandemia (quando il Congresso, durante il mandato di Trump, ha approvato spese ingenti e poi ha promosso grandi programmi, come lo sviluppo dei vaccini, e altri interventi finanziari, che hanno cambiato anche il carattere del mercato finanziario americano). Su questi punti Trump ha iniziato un cambiamento che, tra l’altro, Biden ha continuato, in modo più preciso, anche allargato in termini di spesa sociale e di politica industriale, per cercare di ricostruire certi aspetti fondamentali dell’economia produttiva industriale americana. Si tratta di una grande svolta, che io definisco post-globale nella politica americana in questi ultimi anni e dipende da Donald Trump e Joe Biden.. Bisogna vedere se qualche candidato quarantenne, pur giovane e più in salute, sarebbe all’altezza di questo cambiamento”.
Torniamo al tema dell’età avanzata…
“Di fatto mina l’immagine degli Stati Uniti. Questo è fuori di dubbio. Cioè Biden viene visto come un vecchio e anche un pò rimbambito. In realtà ha lavorato piuttosto bene, a mio avviso, come presidente. Ha gestito forse meglio il potere a livello interno di quello che mi sarei aspettato. Però gli viene riconosciuto poco, per diversi motivi: l’inflazione, il prezzo della benzina… problemi che sono immediati da vedere, mentre è meno immediato, per esempio, rendersi conto che i salari sono aumentati. Ci si ricorda il prezzo della benzina rispetto a 1 anno, 2 anni, 3 anni fa. E non ci si rende conto che, in realtà, i salari negli USA hanno tenuto il passo dell’inflazione. Un altro esempio è la difficoltà di comprare casa negli Stati Uniti a causa dell’aumento dei tassi di interesse… ci sono problemi immediati, ma le persone non riconoscono, non vedono facilmente i grandi cambiamenti fatti da Biden. Questo senso di malessere e di critica verso le Istituzioni certamente viene aggravato dal vedere un presidente che sembra spesso stanco e confuso. E quindi si tende a dargli delle colpe che, forse, non sono tutte sue, ma che la sua età sembra indicare”.
Come siamo arrivati a questo punto? È possibile che in un Paese così grande la politica non riesca a proporre candidati alternativi e più giovani?
“Certamente a questo punto è tardi per i democratici, nel senso che proporre una sfida a Biden (ma era già così dall’autunno) significherebbe contemplare il rischio di danneggiarlo per le elezioni poi di novembre, perché la storia ci dice che, a volte, questo succede; quando c’è un presidente in carica, che deve combattere con uno sfidante all’interno del partito, perde qualcosa tra gli altri elettori. Quindi la paura c’è. Va detto però che Biden occupa una posizione importante nel dibattito democratico, è riuscito a trovare la combinazione giusta. Un populismo economico (cioè un maggiore intervento pubblico in politica industriale anche a livello di politica commerciale con gli altri Paesi, internazionale), e spesa pubblica, spesa sociale, anche se il Congresso gli ha tarpato le ali dall’inizio di quest’anno. Questa è una combinazione giusta, ma non tutti i Democratici lo hanno capito. Comunque il partito ha fatto una sintesi degli anni del populismo con la necessità di una nuova direzione del Paese. Più grave la situazione nel partito Repubblicano, perché Trump è molto ingombrante, ma lui ha rappresentato questo cambiamento su alcuni temi di economia politica estera. Poi su altri temi fa il populista becero e problematico (anche pericoloso), ma su questi grandi temi gli altri repubblicani (Nikki Haley, Ron DeSantis) sono rimasti a 20 anni o anche 40 anni fa: parlano di tagliare le pensioni e la sanità… parlano di politica estera come faceva Dick Cheney, cioè sono dei neoconservatori nei fatti. Questo è un grosso problema. L’establishment del partito repubblicano non ha capito, non ha accettato, la necessità di cambiare e di andare più incontro agli elettori, alle istanze vere degli elettori, rispetto a quello che vuole lo stesso establishment”.
Un esempio della differenza tra Trump e Haley in politica estera?
“La Haley è molto aggressiva nei confronti della Russia. Questo è il punto principale. Trump ha cercato un accordo con Putin, ma questo non gli è stato permesso da parte delle Istituzioni, ma Trump promette di porre fine alla guerra in Ucraina subito. Haley invece dice che siamo in una battaglia della democrazia contro le dittature e questo è lo scontro che definisce i nostri tempi. Banalmente è diventato ovvio che la base del partito (lo hanno capito anche i candidati) non vuole mandare altri soldi in Ucraina”.
Un presidente anziano negli USA, chiunque esso sarà, quali rischi comporta per l’Europa e per il mondo?
“Penso sia più importante la sostanza delle differenze tra i due partiti, rispetto all’età del futuro presidente. È vero che ci si aspettava un grande ritorno alla diplomazia, all’apertura, all’amicizia con l’Europa da parte di Biden. Però c’è stato un cambiamento di direzione, un cambiamento di fase. Ha sorpreso molti in Europa, nell’UE, vedere che Biden rimane protezionista su molte cose, ma questa è una necessità politica, che va oltre la divisione tra i due partiti. Tuttavia è chiaro che lo stile di Trump è molto più ruvido. Sceglie alcuni Paesi come alleati stretti e non ha nessun problema a offendere tutti gli altri se questo significa raggiungere i suoi obiettivi. Questo è sicuramente uno stile diverso. Non penso che la differenza con candidati più giovani sarebbe molto sostanziale, potrebbe esserci sicuramente nel linguaggio. Però, sotto sotto, le Istituzioni americane hanno alcune esigenze e queste esigenze si faranno sentire”.
Per esempio?
“Per esempio la competizione con la Cina, la competizione tra le grandi potenze… Non si può tornare al modello della globalizzazione, del libero commercio, che c’era fino a dieci anni fa o anche meno. Ormai l’approccio con la Cina è, da un lato, una competizione in alcuni settori, dall’altro mantenere un pò di collaborazione (dove è nel nostro interesse)… ma il mondo non si governa con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), prima viene l’interesse nazionale, la sicurezza nazionale”.
E su questo entrambi i candidati, sia Biden che Trump, dovranno comportarsi nello stesso modo?
“Lo interpretano in modo un pò diverso, ma la direzione generale è la stessa. Biden ha ammorbidito la linea, l’approccio verso la Cina, riconoscendo che non si può procedere a un decoupling (cioè uno sganciamento tra le due economie). Sarebbe difficilissimo e pesante per l’economia mondiale farlo, quindi, Biden cerca di definire meglio i settori fondamentali per noi (dove dobbiamo fare politica industriale) e invece quelli dove ci può convenire cercare di investire e collaborare con la Cina. Trump, e i repubblicani in generale, prendono una linea più dura, un po’ più retorica, ma la retorica ha sicuramente conseguenze. Trump sicuramente aumenterebbe ancora i dazi (anche se Biden non ha tolto, in buona parte, quelli fatti da Trump). E anche gli altri repubblicani metterebbero molte più regole per ridurre i rapporti con la Cina”.
Qual è il settore industriale più a rischio per gli Stati Uniti?
“Il settore decisamente più importante è quello dei semiconduttori, cioè dei microchip. Gli Stati Uniti hanno dato grandi sussidi, aiuti pubblici, per la costruzione di diverse nuove fabbriche in questo settore. Poi ci sono altre cose annesse: l’intelligenza artificiale, i computer quantistici. Lo spazio diventa di nuovo molto importante. A livello militare i missili ipersonici, dove gli Stati Uniti sono indietro rispetto alla Russia e alla Cina. Ci sono scontri periodici sui metalli, cioè su acciaio e alluminio. Diventeranno più importanti, nel prossimo periodo, le terre rare (elementi fondamentali per tutto il mondo dell’elettronica e dei computer), settore dominato dalla Cina. Si vuole rompere questa dipendenza”.
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