La Russia domenica ha celebrato in pompa magna il centenario di Mikhail Kalashnikov, l'inventore del fucile d'assalto AK-47 ed eroe del paese, nato il 10 novembre 1919 in Siberia e deceduto nel dicembre 2013, dopo essersi pentito per le morti causate nel mondo dall'arma da lui creata per dare all'armata rossa uno strumento di combattimento leggero, di semplice utilizzo, preciso, affidabile e economico. In breve l'AK-47 si è affermata come l'arma più letale della storia. In 70 anni ne sono stati prodotti oltre 150 milioni di esemplari che equipaggiano gli eserciti di 50 paesi, movimenti rivoluzionari, gruppi terroristici e organizzazioni criminali.
Per l'occasione al Museo della vittoria di Mosca è stata allestita una mostra nella quale è esposta la collezione che di solito si trova nel centro dedicato a Mikhail Kalashnikov a Iževsk, negli Urali, dove ha sede il gruppo industriale che ancora porta il nome dell'ingegnere che cominciò a disegnare il suo progetto più famoso dopo essere stato gravemente ferito in combattimento nel 1941 contro i nazisti di Hitler. Il complesso, un tempo proprietà esclusiva dello Stato avvolta dal massimo riserbo, oggi è attivo in numerosi settori, compresi vestiti e moto.
L'esposizione, visitabile fino al 20 novembre, si intitola "Kalashnikov. Soldato. Costruttore. Leggenda". Una visita alle vetrine in cui sono esposti i primi modelli dell'Avtomat Kalašnikova obrazca 1947 goda è una tappa obbligata per i ragazzi della giovane armata russa lanciata nel 2015 da Vladimir Putin che ha fatto di Mikhail Kalashnikov un simbolo del paese.
Vladimir Putin in compagnia di Mikhail Kalashnikov nel 2010
Viene ricordato come eroe e simbolo di patriottismo tanto che il Governo ha previsto lezioni che vanno dalla storia del personaggio fino all'assemblaggio del suo fucile: circa 4 chili di acciaio con impugnatura in legno multistrato. Al suo inventore hanno portato numerose onorificenze e una notorietà cui avrebbe voluto rinunciare.
Ormai anziano, dopo la fine dell'URSS affermò: "avrei preferito inventare un taglia-erba" e poco prima di morire scrisse al patriarca Cirillo, il capo della Chiesa ortodossa russa, confessando di sentirsi in colpa: "continuo a chiedermi la stessa irrisolta domanda: se il mio fucile ha ucciso così tante persone, ebbene io sono colpevole della morte di costoro, anche se erano nemici?"